L'editoriale
I prof preferiscono le mazzate ai tagli
Non essendo riusciti a complicare a sufficienza la vita degli italiani, con l’Imu e la revisione degli estimi e del catasto, i professori ci stanno preparando un’altra sorpresa. Secondo quanto riferisce Repubblica, il governo avrebbe lasciato aperta la porta a una seconda Imu, da aggiungersi ovviamente alla prima. Nel decreto fiscale appena votato dalla Camera sarebbe stata inserita una tassa di scopo, per consentire ai sindaci di finanziare asili, scuole, parchi, biblioteche, strade e parcheggi. L’imposta colpirebbe il mattone, le cui quotazioni, essendo crollate con la manovra di dicembre del «solo» 20 per cento, pare di capire che secondo l’esecutivo hanno ancora margine per scendere. In seguito all’articolo del quotidiano debenedettiano, Palazzo Chigi si è affrettato a smentire la possibilità della nuova gabella, ma il comunicato non è parso molto convincente. Al punto che Angelino Alfano ha annunciato che qualora si introducesse il nuovo tributo, il Pdl chiederebbe ai propri sindaci di non applicarlo. L’imposta del resto rientra a pieno titolo nello stile inaugurato con la presidenza Monti, il quale per far quadrare i conti ha finora usato la sola leva fiscale, lasciando inalterate le altre voci di bilancio, in particolare quelle riguardanti la spesa pubblica. Nonostante le continue rassicurazioni e gli annunci di prossimi interventi sugli sprechi, ad oggi l’esecutivo si è guardato bene dall’impugnare le forbici. Eppure non dovrebbe essere difficile, dato che la persona incaricata di fare la cosiddetta spending review, cioè la revisione della spesa, studia la materia da almeno 25 anni. Piero Giarda, ministro dei rapporti con il Parlamento ma responsabile del lavoro più delicato di cui si deve occupare il governo, è dal 1986 che tiene sotto controllo la spesa dello Stato, prima come presidente dell’apposita commissione e poi come sottosegretario all’Economia di tutti i governi di sinistra. Possibile che in cinque lustri non sia riuscito a individuare le spese da tagliare? Di quanto tempo ha ancora bisogno per capire che in Italia lo stato getta dalla finestra miliardi? Ogni giorno Libero racconta gli sprechi della pubblica amministrazione e della politica: non è sufficiente per cominciare a usare l’accetta? Le agende in pelle di contribuente della Camera e del Senato, i finanziamenti alla squadra di calcio del ministero della Giustizia, i massaggi shiatsu per gli onorevoli e il contributo pennichella di cui diamo conto oggi, non sono per il signor ministro Giarda un buon inizio dal quale partire per recuperare un po’ di quattrini? Eppure, come spiegò mesi fa Mario Baldassarri, parlamentare ed economista che 25 anni fa fece parte con Giarda della commissione incaricata di studiare la spesa pubblica, già allora si sapeva tutto. È dal 1986 che si sa come spariscono i soldi dei contribuenti: stipendi della pubblica amministrazione e spese senza controllo. Nell’intervista alla Stampa, l’onorevole di Futuro e Libertà diede anche i numeri. Su 820 miliardi di costi dello Stato - pari al 52 per cento del Pil - 181 miliardi erano costituiti dalle buste paga dei dipendenti dello Stato, mentre 137 se ne andavano in acquisti di beni e servizi, cifra che una ventina di anni fa non superava i 52 milioni. Perché in pochi anni la spesa si è quasi triplicata? E come mai una penna può costare il doppio o il triplo a seconda di chi l’acquista? Lasciamo perdere le siringhe, che secondo le statistiche negli ospedali verrebbero consumate come caramelle - al punto che ogni paziente verrebbe sottoposto a 91 iniezioni in poco più di una settimana - ma le auto: perché il parco macchine dei ministeri costa sempre di più di quello di un’azienda privata? Altro che spending review. Per tagliare gli sperperi e gli scandalosi arricchimenti di alcune ditte che lavorano con la pubblica amministrazione ci vorrebbe poco. Basterebbe volerlo. Ma forse l’attuale governo è troppo occupato a studiare come farlo che si è dimenticato di usare le forbici.