Nel buio
Giarda studia la spesa dal 1986 ma ancora non sa come tagliarla
Oltre ai capelli anche le stroboscopiche orecchie si stanno drizzando a Piero Giarda, 76 anni, ministro per i Rapporti con il Parlamento. Prima ancora banchiere (Banca Popolare di Lodi e poi Banco Popolare) e in origine docente di Economia alla Cattolica. Era considerato il Messi del governo Monti. Il fuoriclasse che, con esperienza e classe, avrebbe reso semplice la complessità. Il presidente Monti gli aveva affidato due deleghe vitali. Innanzitutto mantenere costante la connessione con le Camere che, per un esecutivo nato al di fuori della politica, è come la cannula dell’ossigeno per il malato terminale. Soprattutto gli aveva consegnato potere di vita o di morte sulla spesa pubblica. D’altronde chi poteva farlo meglio di lui? Un vero esperto in materia. Probabilmente il migliore in Italia: dal 1986 al 1995 è stato presidente della Commissione tecnica per la spesa pubblica. Non si conoscono, ma certamente per nostra ignoranza, risultati strabilianti. In ogni caso è unanimemente considerato il miglior palombaro per rovistare i tesori che si nascondono sotto l’iceberg di 754 miliardi (metà della ricchezza nazionale) che lo Stato spende ogni anno. Ad affinare la conoscenza, la lunga carriera di sottosegretario al Tesoro. Ben cinque ministeri e praticamente tutti di sinistra: Amato, D’Alema, Dini, Prodi. Monti gli aveva assegnato l’incarico di effettuare la spending review. In italiano vuol dire revisione della spesa. Doveva essere lo strumento imprescindibile per poi procedere ai tagli senza ricorrere ai dolorosi e autolesionistici tagli orizzontali di Tremonti. L’arma totale sembra essersi dissolta. In una intervista il ministro aveva garantito che a gennaio avrebbe presentato il primo elenco. Appena un mese? Perché stupirsi: per il professor Giarda visitare i cunicoli della spesa statale è come girar fra il tinello e il salotto di casa (un appartamento di 175 mq. a Milano secondo l’ultima dichiarazione dei redditi). Siamo già ad aprile. L’appuntamento è spostato a maggio. «È un’operazione complicata alla quale sto lavorando pressoché da solo e quasi a titolo personale» confessa. Una conferma di quello che sanno anche i muri del ministero dell’Economia. Il vice ministro Grilli e Giarda non si amano. Anzi, a ben guardare, si detestano. Così il professore è rimasto solo. Nell’attesa il rischio della delusione si fa molto elevato. Da quello che capisce Giarda è intenzionato a intervenire sulla spese delle fotocopie e delle matite, ma non sulla sanità, nonostante gli sprechi emersi dopo l’analisi dei costi standard. Sembra escluso l’intervento sulla digitalizzazione che darebbe efficienza alla Pubblica Amminisrazione. Non ci sarà la revisione delle agevolazioni alle Regioni a statuto speciale né dei cinquanta miliardi che vanno da Nord a Sud come ricorda Luca Ricolfi nel suo «Sacco del Nord». Per non parlare dei ventisettemila forestali calabresi contro i 70 friulani o, tanto per restare all’attualità, i rimborsi elettorali a piè di lista. Il professor Giarda, cultore di opera lirica, la mette in musica. A suo parere la spesa pubblica ricorda «Anna Bolena» di Donizetti, secondo la visione che ne ha il coro di popolo: ora si compone «in un sorriso», ora appare «triste e pallida». Ai contribuenti, che la sostengono con le tasse, appare soprattutto insopportabile. di Nino Sunseri