Antidepressivi e antidolorifici: soldati Usa sempre più "drogati"
L’evoluzione della medicina psichiatrica di per sé, l’abitudine al ricorso alle medicine che è molto alta negli Stati Uniti anche tra i civili, e il tentativo della gerarchia militare di sopperire con le sostanze chimiche allo stress inevitabile di chi va in guerra, sta facendo dell’esercito americano una truppa di depressi, con tendenza all’assuefazione. Dopo due missioni belliche obiettivamente impegnative e durature (in Afghanistan da quasi 11 anni, in Irak dal 2003 all’anno scorso) a più di 100 mila soldati Usa in servizio attivo, l’anno scorso, sono stati somministrati farmaci antidepressivi, sostanze narcotiche, sedativi, medicine anti-ansia, secondo dati forniti al Los Angeles Times dall’Autorità Medica più alta (Army Surgeon General) dell’esercito americano. Circa l’8% dei militari di ruolo consumano abitualmente dei calmanti e il 6% sono sotto cura antidepressiva, un incremento di otto volte rispetto alla situazione del 2005. “Non abbiamo mai messo in cura medica i nostri soldati nella misura in cui lo stiamo facendo attualmente… e non credo che l’attuale aumento del numero dei suicidi e degli omicidi che si stanno registrando tra i militari sia una pura coincidenza”, ha denunciato Bart Billings, un ex psicologo militare che organizza una conferenza annuale sullo stress da combattimento. Il consulente farmaceutico per il Surgeon General, colonnello Carol Labadie, ha confermato che il consumo di psicofarmaci tra il personale in divisa è comparabile a quello che si ha nella popolazione civile. “Non è che li stiamo usando più frequentemente o in un modo differente. Come per ogni medicamento dobbiamo soppesare il rischio che corre, contro il beneficio che riceve, chi va sotto cura di medicinali”. La realtà dell’ambiente militare, però, è che le prescrizioni di medicinali si scontrano con difficoltà operative e logistiche inevitabili. Gli appuntamenti per controllare e verificare gli effetti dei farmaci mentre i soldati sono in zona di battaglia avvengono più di rado o sono più spesso ritardati. I soldati vengono spediti in missione con dotazioni di farmaci per 180 giorni, e ciò permette loro di fare scambi con i commilitoni, e di arraffare e usare scatole di pillole oltre la norma se non sanno regolarsi. Nel caso vengano feriti e stiano fisicamente soffrendo è quindi assai più facile oggi che corrano il rischio di diventare tossicodipendenti, perché tendono ad assumere più antidolorifici di quelli che prescriverebbe loro un medico, se ce ne fosse uno in zona a visitarli. “La differenza enorme con i civili è che questa gente ha accesso ad armi pesanti, o ha la responsabilità di proteggere altri individui che sono in pericolo”, ha detto Grace Jackson, ex psichiatra della marina che lasciò la sua commissione nel 2002, anche perché non condivideva la tendenza degli psichiatri militari a distribuire troppe pastiglie ai soldati in guerra. E il trend è infatti proseguito, anzi ha accelerato, nell’ultimo decennio, sotto Bush e sotto Obama. di Glauco Maggi