Ipnosi al teste e innocenti in galera: campionario degli orrori delle toghe

Giulio Bucchi

La malagiustizia in Italia è quasi un topos letterario. Sono, le sue, storie terribili, da film (o da programma tv, come il necessario e coraggioso Presunto colpevole su Raidue, che proprio del disvelamento degli errori-orrori giudiziari ha fatto la sua cifra ). La prima storia è quella di un albergo, che intreccia 25 anni di storia sicula, compresi i rapporti vischiosi tra mafia e magistrati. L’Hotel  Villa Bartolomeo, quattro stelle, è stato fatto costruire dalla famiglia di Baldassarre Bonura nel ’79; confiscato sulla base di carte false per aver fatto gola a uomini d’onore di fede corleonese, è un caso eclatante che è arrivato alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Da un quarto di secolo la Procura di Palermo chiede di chiudere il caso contro l’imprenditore Bonura; e Bonura, a colpi di appelli, riapre sistematicamente i procedimenti, convince i giudici migliori a stare dalla sua (uno di costoro era, addirittura, Paolo Borsellino), querela per falso la pubblica amministrazione, denuncia una quindicina di magistrati  per corruzione e per omissione di atti d’ufficio – tre dei quali danno le dimissioni, altri si trasferiscono -; le sue richieste sono state recapitate e ben accolte al ministro della Giustizia, alla Dia, e al Presidente della Repubblica. L’uomo non è mai stato condannato né denunciato, semmai minacciato da ignoti assieme alla famiglia.  La seconda storia è quella di un imputato a sua insaputa. Roberto Giannoni, impiegato di banca viene portato via all’alba, in manette, dalla sua casa senza sapere - come l’eroe ignaro del Processo di Kafka - di essere stato imputato di associazione mafiosa e traffico d’armi e rapina. Lo arrestano senza alcuna prova a carico, i pm credono a un pentito.  Non ci tornerà più per sei anni, a casa; e i genitori moriranno uno dopo l’altro di crepacuore («per la vergogna non uscivano di casa. I magistrati dovrebbero chiedere scusa davanti alla loro tomba», commenta l’uomo dalla vita rubata). La terza storia racconta di Giuseppe Gulotta, calabrese, arrestato all’età di soli 18 anni e accusato di avere partecipato alla strage di due carabinieri, massacrati a colpi di pistola, per poi essere stato assolto dopo 21 anni di carcere, per non aver commesso il fatto. Sono, i suddetti, solo tre casi di vittime della mala magistratura. Certi giudici sbagliano nel grande e nel piccolo. A sfogliare, poi, i libri di Stefano Zurlo La legge siamo noi  e Prepotenti e impuniti (Piemme) l’impressione è quella che parte della magistratura produca surreali abomini. Senza fare altri nomi. Non c’è solo la vicenda classica del giudice pedofilo reintegrato con annesso scatto di stipendio; ma anche quella della di lui collega di Perugia che si mette a chiedere l’elemosina a due passi dal tribunale viene deferita al Csm, «giudicata incapace di intendere e di volere» ma per un giorno e poi, nonostante la follia, reintegrata in ufficio.  E ancora. In una città delle Marche si staglia un pm che dispone - nonostante il reciso divieto dell’art 188 c.p.p. - una seduta ipnotica cui sottoporre un teste nella speranza di afferrare quel che è stato rimosso di un delitto. A Catania, un altro togato deluso dalla freschezza del pescato locale, chiama i Nas, fa chiudere un ristorante dal quale se ne va senza pagare il conto; il proprietario del locale, dimostratata la schiettezza organolettica delle fritture, lo controdenuncia; il Csm dà il solito buffetto. In una «città lombarda» una signora ottantunenne finisce in una buca sull’asfalto e denuncia il Comune; il giudice le dà torto ma stila una sentenza fantasmagorica: «É noto che col progredire dell’età il sistema motorio e quello sensoriale perdono parte della propria efficenza». Le suggerisce, in pratica, essendo vecchia e rincoglionita, di rimanere a casa, condannandola a pagare le spese. E si potrebbe andare avanti all’infinito, tra il drammatico e il faceto a discettare di giudici che, annoiati, imbrattano gli uffici di Nutella; che dimenticano per 105 giorni gente ai domiciliari; che scarcerano, per errore e pressapochismo, il cassiere della Banda della Magliana. Secondo il saggio accuratissmo di Stefano Livadiotti L’ultracasta (Bompiani) i numeri sono  spietati. Solo nel periodo 1999-2006 parlano di 1.004 procedimenti disciplinari. 812, l’80,9%,  finiti a tarallucci e vino: con l’assoluzione o il proscioglimento. «126 con l’ammonizione, ossia un buffetto sulla guancia del magistrato. 38 con la censura, che equivale a una lavata di testa. Solo 22 con la perdita di anzianità (che si traduce in un rallentamento della carriera). Appena 2 con la rimozione e 4 con la destituzione....». Senza considerare che uno stesso giudice o pm può essere stato incolpato più volte) vuol dire che una toga ha 2,1 possibilità su 100 di incappare in una condanna. Negli ultimi otto anni a rimetterci la poltrona è stato solo lo 0,065% dei magistrati. La riforma della giustizia magari potrebbe iniziare proprio da qui. di Francesco Specchia