L'editoriale
La Corte dei Conti ha scoperto che in Italia le tasse sono troppe. Secondo quanto dichiarato ieri dal suo presidente, il peso delle imposte sfiora il 45 per cento, «livello che ha pochi confronti nel mondo». Ma non solo: a giudizio del dottor Luigi Giampaolino, capo dei magistrati contabili, a pagare sono sempre gli stessi, cioè gli italiani onesti che dichiarano fino all’ultimo euro e proprio per questo, non sottraendosi al Fisco, nei momenti di crisi vengono tartassati. Per i togati con la calcolatrice, tutto ciò è conseguenza di un sistema disegnato male, che scarica il peso sui contribuenti fedeli. In pratica la Corte dei Conti ha scoperto l’acqua calda. Sono anni che noi denunciamo l’alto livello di tassazione e da altrettanti segnaliamo che cosa non va nel bilancio statale. Ciò nonostante, le imposte non sono diminuite di un centesimo e gli sprechi pure. Certo, ci rendiamo conto che le nostre denunce non possono essere paragonate a quelle degli alti papaveri della magistratura e che anche il pulpito da cui viene impartita la predica ha la sua importanza. Però a noi non sembra che fosse necessario tutto questo tempo per accorgersi che il Fisco sta strozzando gli italiani. E a proposito di soffocamento da gabelle, c’è da registrare un altro allarme. Oltre a Giampaolino si è fatto vivo anche il garante della privacy il quale, sebbene sia solito occuparsi di paparazzi e gossip, ieri ha sentito il bisogno di commentare i sistemi dell’Agenzia delle Entrate. Come è noto, da quando il ministero dell’Economia ha dato loro carta bianca, gli uomini di Attilio Befera non vanno troppo per il sottile. Pur di scovare gli evasori, stanno passando al setaccio i conti degli italiani, non disdegnando di ficcare il naso nelle abitudini e nei consumi delle famiglie. Forti del permesso accordatogli dall’ultima Finanziaria, non c’è transazione, bonifico, fattura e scontrino che sfugga agli occhi del Fisco. Una specie di Stato di polizia fiscale che a Francesco Pizzetti, guardiano dei fatti nostri, non va giù. D’accordo la trasparenza amministrativa, va bene la lotta agli evasori, ma qui siamo in presenza di «strappi allo Stato di diritto». Il garante tira in ballo pure la nostra democrazia, che, proseguendo su questa strada, si allontanerebbe da quelle occidentali. Abituato a parole felpate, in questo caso il professore ha usato parole forti, sostenendo che considerare tutti i contribuenti dei potenziali mariuoli è un’abitudine delle dittature. «In uno Stato democratico il cittadino ha diritto di essere rispettato fino a che non violi le leggi, non di essere sospettato a priori». Da quel che si capisce, il garante ha scoperto che con le nuove norme il suo ufficio può anche chiudere i battenti. Altro che rispetto della privacy. Macché tutela delle informazioni riservate. Con la scusa di dover scovare chi fa il furbo con il Fisco, gli affari riservati sono diventati pubblici e a disposizione di chiunque ne voglia far uso. Già, perché i dati non è detto che siano sotto chiave. A maneggiarli oltre ai segugi dell’Agenzia delle Entrate saranno anche i Comuni, i quali in base alle regole recentemente introdotte parteciperanno alla lotta all’evasione. «C’è una spinta al controllo e all’acquisizione di informazioni sui comportamenti dei cittadini che cresce di giorno in giorno», dice allarmato Pizzetti. Un fenomeno che, grazie ai sistemi digitali e al propagarsi della richiesta di trasparenza da parte dei cittadini, secondo il garante può condurre a un controllo sociale di dimensioni spaventose. Sì, usa proprio questo termine, il prof, lasciando intendere che siamo vicini a un grande fratello che tramite le nostre spese conoscerà i nostri gusti e le nostre abitudini. Saprà dove facciamo le vacanze, quanta benzina consumiamo, quali ristoranti preferiamo, se andiamo in palestra o a giocare a tennis, se abbiamo l’abitudine di fare un regalo alla moglie per il suo compleanno oppure all’amante. Avendo di fatto abolito i pagamenti in contanti spingendo gli italiani a saldare i conti con la carta di credito, il governo consegna la nostra vita al grande cervello del Fisco e a chi ne ha accesso, senza che nessuno abbia la benché minima garanzia di come la massa di informazioni sarà tutelata. Pericoloso? A sentire l’ammonimento di Pizzetti sì, al punto che non esita a dire che di questo passo si rischia di finire sudditi del Fisco. Immaginiamo naturalmente l’obiezione: questo è il prezzo da pagare per scovare i disonesti. Ma siamo sicuri che sia proprio così? A noi tornano in mente le parole di Giovanni Falcone, il giudice che scovò i capi della mafia per poi esserne ammazzato. Quando si obbligarono le banche a segnalare le operazioni sospette, il magistrato disse di temere una tale massa di dati da impedire di scovare quello giusto. Il sospetto che alla fine, i miliardi di operazioni bancarie che si fanno ogni anno finiscano per seppellire quelle illegali noi ce l’abbiamo. Se fosse vero, saremmo ancora una volta cornuti e tassati. di Maurizio Belpietro