L'editoriale
DI MARIA GIOVANNA MAGLIE - Passera for president. Per fare che cosa, con quale programma, progetto e, se si può non considerarla una parolaccia, quale ideale, in una società non pret a porter, per un Paese che di scelte è ansioso? Si potrebbe chiedere a lui, e sperare che cominci a rispondere qualcosa di meno enigmatico de «il futuro mi ha sempre sorpreso», perché almeno in questo, l’imprevedibilità del destino, è simile ai comuni mortali, e perché se davvero, come sostiene chi lo conosce bene, la scelta di fare il ministro è stato il primo passo di una antica aspirazione alla leadership politica e al servizio del Paese in un momento di crisi, non sono ambizioni così poco nobili da essere taciute, al contrario, ma vanno anche chiarite per scopi e direzioni di percorso. Si dovrebbe però soprattutto chiederlo ai partiti in depressione grave e in crisi di identità totale, ai naufraghi dello tsunami Monti-Napolitano, che sperano forse di risolvere i loro problemi non rifondandosi ma affiliandosi al personaggio presentabile di turno, non importa da dove venga, Bingo! Si potrebbe obiettare che anche Prodi faceva il professore e il manager, ma la sua storia dossettiana non lo rendeva collocabile che nella sinistra sociale. Si potrebbe argomentare che Silvio Berlusconi entrò in politica come un ariete, ma nessuno mai avrebbe potuto immaginarlo a sinistra. Qui invece si parla di un jolly, e un jolly in politica fa impressione perfino nel caos del 2012. A un candidato anche futuro, anche nascosto, va chiesta e pretesa coerenza di collocazione. L’uomo è preparato, ambizioso, ben maritato, meno supponente di Monti, offre grandi garanzie di presentabilità. Ma con chi sta e che cosa vuole lo dovrebbe dire, a noi, al centro sinistra, al Terzo Polo, a tutti gli spasimanti. Tutti lo vogliono, a quanto è dato di interpretare nelle nebbie in cui è avvolta la politica o quel che resta di essa nell'era dei tecnici; tutti nei Palazzi smembrati di ruolo e di potere dalla calata dei tecnocrati vogliono Corrado Passera come candidato premier di un futuro schieramento per le prossime elezioni, evento che si prevede inevitabile ma anche imperscrutabile e per ora non collocabile nel tempo che intercorre tra oggi e la fine naturale della legislatura, aprile 2013, poco più di un anno che potrebbe essere lunghissimo. Si scrive e dunque si legge, si dichiara, ufficiosamente al momento, per carità, che il banchiere cattolico sarebbe ambito sia pur con qualche problema dal Pd, al quale peraltro sarebbe vagamente legato per via di un sodalizio antico con Romano Prodi e di una lunga pratica con il banchiere Bazoli; che non dispiacerebbe averlo anche al Terzo Polo, nonostante qualche fastidio per l’ego di Pier Ferdinando Casini, ultimamente in grande espansione, perché il progetto del partito cattolico troverebbe nuova linfa. Infine, il Pdl che i suoi stessi dirigenti danno in caduta libera nei consensi, sarebbe lieto, almeno in parte, almeno peones e quadri medi, di ritrovare un capo forte, che godrebbe di un rapporto costruito faticosamente negli anni con Silvio Berlusconi. Il lato più grottesco di questi ragionamenti che gli addetti ai lavori riportano con tono di chi la sa lunga è che a nessuno viene in mente di mettere in fila le differenze del programma politico che i tre schieramenti dovranno a un certo punto mettere a punto, sia pur obtorto collo, e che dovrebbero ancora esserci in un Paese che è stato polarizzato pesantemente e chiassosamente. Che so io riforma della giustizia, articolo 18, peso del fisco, privatizzazioni, dismissioni di patrimonio pubblico, taglio della spesa pubblica, politica di sicurezza, politica dell'immigrazione, sono argomenti sui quali i due principali schieramenti prima, il cosiddetto Terzo Polo dopo, si sono fatti una guerra spietata. Sono argomenti sui quali il governo Monti del quale Corrado Passera è membro illustre hanno attuato alcune scelte che stanno suscitando reazioni pesanti di una parte colpita degli italiani elettori, ignorato altre, anzi si sono proprio rifiutati di porsi il problema. Le non scelte non sono imputabili al riserbo di un governo tecnico a tempo che ritenga doveroso, come aveva enunciato, di non intervenire se non nell'emergenza della crisi economica internazionale. Dove hanno ritenuto che sia il caso di mettere i piedi nel piatto i tecnici lo hanno fatto e lo faranno, che sia un Riccardi sull’abolizione della legge sulla tassa di soggiorno sacrosanta per gli immigrati, che sia una Severino sulla carcerazione preventiva nelle famigerate camere di sicurezza. Le loro sono decisioni politiche, anzi politically correct, e si suppone che siano collegiali, e che non possono non riguardare il super ministro dello Sviluppo Economico.