L'editoriale

Lucia Esposito

Sono trascorsi più di vent'anni da quando un referendum promosso dai radicali abrogò la legge voluta da Flaminio Piccoli per finanziare i partiti. La norma, introdotta nel 1974, era stata sin dal principio impopolare, ma una prima consultazione nel 1978 non raccolse il numero di voti necessario a far cancellare il sistema. Nel 1993, in piena Tangentopoli, riproposto il quesito, a dire si all'abolizione del finanziamento pubblico, cioè a soldi dei contribuenti concessi senza controllo e trasparenza, fu invece il novanta  per cento degli italiani. Una percentuale quasi bulgara, che non stupisce. Uno degli argomenti usati per difendere il meccanismo che donava miliardi ai partiti era la necessità di evitare che gli uomini politici si facessero corrompere per sostenere la propria organizzazione. Mani pulite però svelò che, nonostante il denaro concesso da parte dello Stato, i partiti rubavano senza ritegno. Di qui l'abolizione della legge che aveva generosamente elargito nel corso degli anni Settanta e Ottanta quattrini a un'intera classe politica. Ma del parere degli elettori il Parlamento se ne infischiò presto. Appena un anno dopo il referendum, con il consenso di tutti, Camera e Senato votarono un sistema di rimborsi elettorali che avrebbe dovuto consentire a chi non è ricco di poter comunque partecipare alla vita politica, affrontando le sfide della campagna elettorale. Pur se spacciato come un modo democratico per permettere a chiunque di candidarsi, in realtà il finanziamento pubblico è stato usato da molti partiti per continuare a farsi gli affari propri, gestendo il denaro dei contribuenti senza alcun controllo e con metodi opachi. Molti ricorderanno le polemiche sorte intorno ai rimborsi dell'Italia dei valori, con iscritti e dirigenti del partito che accusarono Antonio Di Pietro di aver utilizzato il denaro ricevuto dopo ogni campagna elettorale in maniera poco chiara, se non addirittura privata. Ci furono cause e insinuazioni di usi loschi e il leader dell'Idv fu costretto a difendersi. La magistratura ha poi accertato che nulla di irregolare vi fu, fermandosi però ai profili illeciti e senza sindacare su quelli politici e sulle questioni di opportunità di una gestione a  dir poco familistica. Soldi, case e poca politica. Analoghe polemiche, seppur legate ai compensi percepiti dai consiglieri eletti con Beppe Grillo, sono da poco scoppiate nel movimento Cinque stelle a cause di depositi e conti correnti che sarebbero nelle disponibilità dei singoli e non del gruppo. L'anticasta costretta a fare i conti con la cassa. Ora un altro scaldaletto sfiora la Lega, il cui tesoriere - con i soldi ricevuti per organizzare l'attività politica e finanziare le campagne elettorali -avrebbe accumulato un tesoretto di 10 milioni di euro poi investiti in Tanzania e usati per altre strane speculazioni finanziarie. Può darsi che, come nel caso di Di Pietro e degli appartamenti comprati dal fondatore dell'Italia dei valori, non ci sia nulla di male. Ma certo i milioni immobilizzati in fondi comuni africani fanno pensare che i soldi degli italiani non servano per difendere il diritto di chiunque di organizzarsi in vista delle elezioni, ma siano invece un generoso dono dello Stato a ras politici che li usano a loro piacimento senza il dovere di giustificarsi con alcuno, nemmeno con i propri elettori. E i fatti risultano ancor più dirompenti in queste ore, in cui si discute molto di come far rientrare il Paese delle spese che fin dalla Prima repubblica ha sopportato, eliminando sprechi che non sono più sostenibili. Noi stessi abbiamo lanciato una campagna per far dimagrire organi costituzionali come Quirinale, Parlamento e enti vari. Riallineando le spese della presidenza del Consiglio, di quelle della Repubblica, della Camera e del Senato a quelle degli altri Paesi europei, si potrebbero risparmiare un un miliardo e trecento milioni. Togliendo i soldi regalati ai partiti, a questa cifra si aggiungerebbero altri 300 milioni l’anno. Come gli abbiamo ricordato qualche giorno fa, se Monti vuole fare sul serio e non è a Palazzo Chigi solo per compiacere i soliti potentati economici, ha molti modi per dimostrarlo. Il primo, il più urgente e il più popolare è quello di chiudere il rubinetto a chi del denaro pubblico fa un uso privato. Smetterla con un sistema che non ci ha regalato una buona politica, ma ha donato soldi dei contribuenti a una politica oscura. La faccia finita con il finanziamento dei partiti e promettiamo di rendergliene merito. Dimostrerà che una lezione, oltre ad averla imparata, la sa anche applicare. di Maurizio Belpietro