L'editoriale
Di Maria Giovanna Maglie - Piccole idee crescono, grazie ai lettori di Libero, e si espandono, basta dare un’occhiata su Facebook, Twitter, i siti di associazioni degli utenti e dei consumatori, le finestre del Tea party Italia, e vedrete che ne arriveranno altri, per capire che anche se non c’è niente di nuovo, anche se il fastidio per il balzello odioso rappresentato dalla tassa sulla Rai è storico nel nostro Paese, se quasi la metà degli italiani lo considera tale, cioè odioso, oggi la rabbia è più forte, più profonda, oggi forse è cresciuta la voglia di organizzarsi, muoversi, fare qualche cosa. La crisi, la recessione, l’incomprensione diffusa per le decisioni di un governo che non è figlio in alcun modo della volontà popolare, possono produrre reazioni importanti, la Rai potrebbe essere la prima di una serie di ribellioni civili e civiche che ci restituiscano la forza politica e che indichino alla classe politica che i cittadini esistono e nel loro piccolo si incazzano; a sostenerla ci sono almeno tre elementi: la possibilità di passare dalla provocazione feconda a un referendum realistico; le numerose inadempienze dell’azienda, anche paragonate al comportamento degli altri Paesi europei nei quali vige il sistema misto; le incongruenze di un piano di emergenza appena promulgato che sottolineano ancora una volta che di pubblico in Rai c’è rimasto ben poco. Il primo elemento sta proprio nella proposta elaborata da Libero e illustrata ieri nell’editoriale di Maurizio Belpietro, che mi provo a riassumere. Il canone Rai è una tassa, e come tale non può essere cancellata, dunque il referendum abrogativo è una strada che non si può percorrere. Ma se non è possibile abolire una tassa, è possibile indire un referendum per abolire una legge. La Rai infatti non è un ente di Stato ma una società per azioni di proprietà pubblica che, per gli effetti di un testo del 1975, svolge un servizio pubblico. Se venissero aboliti i commi della legge in questione che prevedono che sia la Rai a dover svolgere il cosiddetto servizio pubblico, non ci sarebbe più motivo per pagare il canone. Libero dunque è pronto a, lanciare la sua campagna referendaria per abolire il canone e risparmiare ogni anno 1,5 miliardi di euro. Il secondo punto riguarda le inadempienze, meglio, il vero e proprio pasticcio costituito dalla Rai. Se è vero che il canone non è il più alto in Europa, in Svizzera costa circa 290 euro, in Svezia 220, in Gran Bretagna e Germania 215,76, la Rai è la tv pubblica europea che registra la maggior quota di introiti dalla pubblicità, addirittura il 52% dei ricavi totali, contro il 23% della Bbc e il 36% di France Television. Prendiamo ad esempio solo la Germania, così a nessuno verrà in mente di pensare che facciamo un piacere alle tv di Berlusconi, prendiamo un Paese dal quale il nostro premier si fa mandare a fare i compiti a casa. Lì dal l 1 gennaio del 2013 la legge prevede che si pagherà per nucleo familiare: su 82 milioni di abitanti, 40 milioni di nuclei familiari, l’incasso del canone ammonterà a 7,2 miliardi, la pubblicità circa a 450 milioni. Tengo a precisare che in Germania per servizio pubblico intendono le tv statali 1 e 2 in alta definizione, la B3, le TV regionali, la 3Sat, la Neo e la Arte sempre in HD, e che trasmettono senza pubblicità a partire dalle ore 20.00, e che con la nuova legge la pubblicità diminuirà ulteriormente. Il terzo punto, molto importante, è la botta finale appena assestata della dirigenza della Rai al servizio pubblico con il cosiddetto piano di emergenza. La Lei taglia uffici di corrispondenza ma anche gli inviati dei telegiornali, che sono l’alternativa ai corrispondenti se vuoi garantire una informazione completa, taglia il servizio dedicato agli italiani all’estero, mette in vendita terreni e tralicci. Scopre che i corrispondenti delle televisioni internazionali scrivono il servizio, poi magari lo montano da soli e lo inviano in patria, notizia tutta da dimostrare, scopre anche che il corrispondente della Rai richiede la collaborazione di almeno un producer, un montatore, un operatore di ripresa, in alcuni casi di un addetto alle luci e di un fonico, come se tutta questa gente l’avesse assunta qualche altra azienda, infine conclude che si devono chiudere subito gli uffici di Corrispondenza di Beirut, Buenos Aires, Istanbul, Madrid, Mosca, Nairobi e Nuova Delhi, mescolando disinvoltamente luoghi ininfluenti con capitali chiave del prossimo futuro, e che la sede di New York ne dovrà avere un massimo di tre. Infine decreta che sarà ridotto il numero di inviati in giro per il mondo, soprattutto verso città o Paesi già coperti da corrispondenti stanziali. Altro colpo allo sport, perché non sarà rinnovato il contratto con la Lega Calcio per il triennio 2012-2015. La Rai si limiterà a comprare, per la Serie A, i diritti delle azioni salienti delle partite, l’intera decisione sembra fatta pensando ad aumentare gli abbonamenti a Sky di Murdoch. Non entro nel merito, quando si tratta di risparmiare su costi divenuti o ritenuti intollerabili, ogni azienda è padrona di individuare sprechi autentici o anche di scegliere tra le notizie e le ballerine, ma così si comporta un’azienda privata, una società per azioni che deve risanarsi, non un’azienda pubblica che considera una tassa il contributo dovutole dai cittadini. Tanto più che la Rai ignora un obbligo di legge sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione che obbliga, pena l’illegittimità dei pagamenti, a pubblicare sul sito web i nomi e gli importi dei consulenti e dei professionisti esterni. Se è per questo non c’è sul sito Rai neanche il contratto di servizio, siamo fermi al 2009. Siamo solo all’inizio della disamina, eppure gli elementi per il referendum proposto da Libero ci sono già tutti.