L'editoriale
Dei tanti misteri che aleggiano intorno alla nascita del nuovo governo, uno appassiona più degli altri e riguarda il nuovo ministro dello sviluppo economico. Come è noto tutti o quasi i collaboratori di Monti sono professori o funzionari pubblici, in altre parole dipendenti dello stato che possono mettersi in aspettativa per il tempo necessario allo svolgimento delle delicate funzioni loro affidate. Alcuni avevano incarichi in importanti consigli di amministrazione, ma si trattava di un doppio lavoro che occupava una parte sola della giornata. L’unica eccezione è quella di Corrado Passera, il quale a differenza degli altri non era né in odor di pensione né in grado di richiedere la conservazione del proprio posto di lavoro nel periodo da trascorrere al ministero. Per occupare la poltrona di responsabile delle infrastrutture e della crescita, l’amministratore delegato di Banca Intesa si è dunque dovuto dimettere, rinunciando al prestigioso incarico e all’ancor più prestigioso stipendio. Quasi quattro milioni di euro secondo l’ultimo bilancio dell’istituto di credito, una cifra che nel passato grazie a generose stock option era stata anche superiore e che la crisi adesso aveva limato un po’ ma che presto sarebbe tornata a correre. Tuttavia accettando di trasferirsi a Roma ai vertici del super ministero, Passera non solo rinuncerà alla possibilità che gli emolumenti tornino al livelli precedenti il crac dei mercati, ma addirittura acconsentirà a una drastica riduzione del proprio reddito. Da quattro milioni di euro a meno di duecentomila: un ventesimo di quanto guadagnava prima. Credo che il 99 per cento degli italiani con i soldi che verranno dati all’ex banchiere per occuparsi di crescita e grandi opere si sentirebbe ricca. Ma il problema non è se siano congrui o meno duecentomila euro per fare il ministro, semmai perché uno sano di mente rinunci a 3,8 milioni annui per guadagnarne solo 200 mila? Chiunque è libero di cambiare vita e, se lo desidera, anche di scegliere di essere pagato meno di prima. Però quando si decide di dare una svolta di solito non ci si sceglie un lavoro precario, che si conclude in pochi mesi. Ma, come è noto, il governo di cui Passera ha accettato di far parte ha un orizzonte limitato: al massimo la primavera del prossimo anno. Dunque perché l’amministratore di una delle più importanti banche italiane ha scelto di dare un taglio al suo lavoro precedente e si è buttato in quella che pare un’avventura a termine oltre che ad alto rischio? Molti si sono interrogati, ma finora pochi sono riusciti a dare un risposta. Eppure a me pare che la soluzione del mistero sia facile: il banchiere ha deciso di chiudere la sua stagione da manager per fare politica. La sua è a tutti gli effetti una discesa in campo, per usare una formula che ricorda il 1994 e l’avvento di Silvio Berlusconi. A differenza del Cavaliere Passera però non ha formato un suo partito o movimento ma ha preso al volo un treno che gli è passato davanti. Probabilmente fino a una settimana fa nulla era deciso, ma quando Monti è stato nominato senatore a vita e si è aperta la strada al governo tecnico, tutto è cambiato e l’amministratore delegato di Intesa San Paolo ha fatto la sua scelta. A tanti la decisione sarà apparsa un fulmine a ciel sereno. Eppure riflettendo ce la si poteva aspettare. Da un pezzo Passera scalpitava per fare il gran salto. Nei suoi discorsi non mancavano mai riferimenti sociale e più che ai conti della sua banca sembrava pensare allo sviluppo del sistema Paese. Quattro anni fa, in pieno governo Prodi, mi concesse per Panorama un’intervista che aveva al centro non come migliorare la presenza di Intesa San Paolo sul mercato del credito, ma come far ripartire l’Italia. Università, trasporti, grandi opere, mercato del lavoro: altro che la finanza. Una svolta dunque annunciata. Anche da un lontano episodio. Pochi lo ricordano ma vent’anni fa, in piena Mani pulite, l’allora giovanissimo braccio destro di Carlo De Benedetti fu intercettato mentre parlava con Antonio Di Pietro e l’argomento della conversazione era la nascita di una nuova formazione politica in collaborazione con l’ex pm. Il ministro dello sviluppo e delle infrastrutture non è dunque un precario della politica e la sua non è una presenza a termine. Se ha accettato l’incarico offertogli da Monti è perchè ha chiuso con il passato. Basta con le banche, ora è l’ora delle riforme. Quello di Passera dunque è un assaggio, cui seguirà un impegno vero, senza più il paravento dell’incarico tecnico. Potrei sbagliarmi, ma io credo che prossimamente l’ex banchiere formerà un proprio partito, una formazione che avrà il compito di superare quelle esistenti. Per quando il ministro abbia nel passato votato alle primarie del Pd è difficile immaginarselo intruppato nel Partito democratico, a combattere fra Veltroni e D’Alema per farsi spazio. Oppure impegnato a discutere la linea in una delle interminabili direzioni nazionali del Pd. Da uomo pratico Passera non ha voglia di perdere tempo con le liturgie del passato. Inoltre è abituato a comandare e alla dialettica di un partito del secolo scorso difficilmente si adatterebbe. Per noi iI problema non è se formerà un partito, ma dove lo collocherà. Sarà di sinistra o di destra? Probabilmente né l’uno né l’altro. Quando nascerà la nuova formazione si piazzerà al centro, una cosa nuova che contenderà lo spazio a Pd e Pdl, ma anche al Terzo polo, che con l’Udc da sempre sta in una posizione mediana. Fantasie? Illusioni? Per scoprirlo basterà aspettare qualche mese. Ma già ora sono pronto a scommettere: l’uomo che ha preso al volo il treno della politica non scenderà facilmente. Anzi: minaccia di andare lontano.