L'editoriale

Andrea Tempestini

Almeno un risultato l’hanno raggiunto la manovrona del governo Berlusconi e, più ancora,  l’ariaccia che tira in Europa. È quello di farci capire che è finita un’epoca. E che dovremo cambiare vita. Tutti, purtroppo. Per chi ha poco, sarà un bel guaio, una prova  davvero da lacrime e sangue. Ma anche quanti appaiono benestanti saranno obbligati a rendersi conto di una verità: l’esistenza diventerà più difficile pure per loro. Che cosa vuol dire cambiare vita? Per limitarmi all’essenziale, risponderò così: lavorare di più, pagare più tasse, poter risparmiare di meno, avere una vecchiaia meno sicura. Se penso a me stesso, non mi sembra un peso insopportabile. Vecchio lo sono già, a ottobre farò 76 anni, uno più di Berlusconi. Qualcosa risparmio, però non credo che servirà a me. Lavoro anche di domenica, scrivendo articoli e libri. Quanto alle tasse, sono un contribuente fedele e rassegnato. E pagherò anche la nuova Tassa di solidarietà che il governo mi ha caricato sul groppone. FUTURO GRIGIO Per dirla schietta, prevedo che la mia vita non cambierà molto. Ma non andrà così a milioni di altri italiani. Per loro non sarà facile accettare un futuro grigio, pieno di sacrifici. Come reagiranno non lo so. In parte non voteranno più per il centro-destra, anche se non sapranno per chi votare. Però questo gesto potrebbe non bastargli. Si ribelleranno? Decideranno in blocco di non dare più un euro al fisco? Scenderanno in piazza? Non voglio avanzare altre ipotesi, perché mi fanno tremare.  Dovrà cambiare vita anche la casta politica. Non parlo soltanto di chi sta al vertice dello Stato, a cominciare da quanti siedono in Parlamento. Intendo pure chi sta via via più in basso. Vale a dire coloro che governano le regioni, le province, i comuni grandi e piccoli. Tutti si lamentano dei tagli di spesa. Tutti spiegano che dovranno ridurre i servizi ai cittadini. E offrono ai giornali elenchi spietati. Che riguardano gli asili, le scuole, i trasporti, l’assistenza agli anziani, la manutenzione delle strade e degli edifici pubblici.  C’è una singolare uniformità nelle previsioni da finimondo di governatori, presidenti e sindaci, ancorché schierati su fronti politici opposti. Leggere le interviste di Formigoni, Alemanno, Pisapia e Fassino, per citare soltanto quattro big, lascia sconcertati. Non soltanto dicono le stesse cose, quasi con le medesime parole. Ma soprattutto tacciono le verità che invece sarebbe onesto ammettere. Il silenzio dei big locali inizia quando dovrebbero spiegare i grandi sprechi da eliminare, prima di far stringere la cinghia ai cittadini. Il giorno che verrà scritto un Libro Nero su quanto accade nella periferia italica, anche nelle città maggiori, emergerà una serie di orrori che oggi soltanto in pochi vedono. Costruzioni inutili, decise per strappare qualche tangente. Palestre e palazzotti dello sport nati come funghi anche in piccoli centri. Quando basterebbe mettersi d’accordo per sfruttare quelli che esistono già nel territorio più vicino. Scuole materne e asili in paesi dove quasi non nascono bambini. Cerimonie e feste senza senso in tempi di vacche magre. Costano e si potrebbero abolire senza suscitare rivolte di popolo. Per non parlare di istituzioni assurde, come le tante Comunità montane o i consorzi sovracomunali, creati o mantenuti in vita soltanto per garantire incarichi a politici bolliti e qualche posto da offrire ad amici di partito. O della fungaia di aziende municipalizzate che potrebbero essere vendute ai privati, liberando i comuni di enormi spese e permettendo l’incasso di denaro da destinare a opere pubbliche necessarie. Mentre i privati avrebbero possibilità di fare investimenti e offrire nuovo lavoro. Certe regioni e anche molti grandi comuni buttano via milioni in consulenze strapagate e spesso inutili. Invece di far lavorare i loro impiegati e i loro dirigenti e, magari, di sostituirli se incapaci o inefficienti. Buttano denaro in uffici stampa obesi. In sedi di rappresentanza, anche all’estero, che costano un patrimonio. In apparati burocratici sovradimensionati che non vengono snelliti perché sono pieni di raccomandati, al servizio di questo o quel clan politico. DENARO BUTTATO I bilanci di molti enti locali assomigliano a recipienti pieni di buchi, dove l’acqua esce da troppi fori. In questo caso l’acqua sono i denari versati dai cittadini che pagano le tasse per le esigenze delle comunità. Non ho mai capito perché debbano servire a mettere in piedi inutili premi letterari dall’esito già deciso. Concorsi per giornalisti allo scopo di dare una mancia a cronisti fedeli. Mostre di pittori sconosciuti, ma amici di qualche ras. Fondazioni costose e dagli scopi incerti. Festival teatrali e cinematografici quasi sempre di basso livello. Gli esempi che ho fatto sono molto parziali. I lettori di «Libero» sanno come arricchirlo, raccontando che cosa accade nelle loro città e nei loro paesi. Quando dico che dovremo cambiare vita, indico un obbligo rivolto soprattutto a chi amministra il denaro pubblico. Denaro che, è bene ricordarlo, non è loro, bensì nostro. Bisogna stanare questi signori e le loro spese inutili. Le loro facce devono finire sui giornali, insieme alle cifre che sprecano.  Cari governatori, cari presidenti di provincia, cari sindaci: non cercate di prenderci per i fondelli. Prima di accanirvi contro bambini, famiglie e anziani, guardate in casa vostra, a cominciare dal vostro ufficio. Troverete subito qualcosa o qualcuno che non è necessario e si può abolire. Sarà una spesa in meno e un gesto di serietà in più. di Giampaolo Pansa