L'editoriale

Andrea Tempestini

Gianfranco Fini ha inaugurato la sua nuova casa. Ma questa volta non l’ha fatto in silenzio come accadde con quella di Montecarlo: per l’apertura della sede nazionale di Fli ha convocato una conferenza stampa, riunendo la truppa che gli è rimasta dopo il fuggi-fuggi parlamentare degli ultimi giorni. Per l’uscita dal letargo estivo, cui si è condannato dopo i deludenti risultati elettorali di Futuro e Libertà, non è che abbia detto cose destinate a passare alla storia. Più o meno si è esibito nel solito repertorio antiberlusconiano, ma con il tono un po’ dimesso  e stanco di uno che ha appena finito un’immersione impegnativa. Del resto, il presidente della Camera qualche motivo per essere mogio ce l’ha. Dopo aver inseguito per anni il sogno di far fuori il Cavaliere e di prenderne il posto, adesso che il suo arcirivale annaspa sotto l’onda delle condanne pecuniarie e della crisi economica, nessuno  lo interpella. Sono passati i tempi in cui ogni suo sospiro era riportato dai cronisti con toni adoranti come quello dei grandi leader. Il futuro della libertà, ossia il libro che avrebbe dovuto essere il manifesto politico della nuova destra e che come tale era stato presentato dai giornali complici, ora si fatica a trovarlo sugli scaffali e nessuno certo lo considera un’opera fondamentale, se non per sorreggere la gamba di un tavolo traballante. Eppure dal giorno in cui veniva accreditato come una figura di grande rilievo politico, anzi come lo statista che avrebbe potuto prendere il posto di Berlusconi, o meglio di soffiargli la poltrona, non è trascorsa un’eternità. Il ditino alzato con cui si oppose all’uomo con cui fondò il Popolo della libertà risale a un anno fa . E il discorso di Mirabello, reiterato poi a Bastia Umbra, è ancor più recente: appena dieci mesi fa.  Eppure del nuovo partito che avrebbe dovuto distruggere il Pdl c’è appena l’ombra e non passa giorno che non ci sia qualcuno, parlamentare o consigliere comunale, che non faccia le valigie per traslocare altrove. Perfino il terzo polo, idea buttata lì a dicembre all’insaputa degli stessi deputati futuristi per tentare di rendere meno evidente la sconfitta della mancata sfiducia al governo, è alla canna del gas. Casini va per la sua strada tentando accordi a destra e a manca pur di diventare il prossimo premier. Rutelli la strada la ha persa da un pezzo e non se n’è neppure accorto. E a Fini, abbandonato sul marciapiede in attesa di qualcuno che lo rimorchi, non resta che tenersi stretta la poltrona di presidente di Montecitorio. L’ultima idea per tentare di non passare del tutto inosservato l’ha lanciata uno dei suoi pasdaran l’altro giorno. Fabio Granata, che insieme con Bocchino  è il più gettonato tra i deputati di Fli in quanto capace di garantire ai giornalisti un buon titolo, ha gettato al vento l’alleanza moderata con la  democristianissima Udc per proporre un patto di ferro tra Di Pietro e Fini, nella convinzione che due capi che zoppicano insieme ne facciano uno sano. Essendo entrambi  usciti malconci dalle amministrative, anche se Tonino ha potuto mascherare il calo di voti grazie alla vittoria di De Magistris, i due punterebbero a sorreggersi  a vicenda.  In comune hanno la stessa  avversione per il Cavaliere, oltre che la passione per le manette, coltivata fin dai tempi di Mani pulite. Entrambi allora speravano di passare alla cassa, e cioè di incamerare il dividendo di fine Repubblica. L’ex magistrato come angelo sterminatore della Dc e del Psi. L’ex segretario del Msi come leader di un partito tenuto fuori dalla porta in attesa di essere sterilizzato dall’antifascismo.  Purtroppo per loro, si è presentato il terzo incomodo, cioè Berlusconi, che ha vanificato tutti i tutti gli sforzi di accaparrarsi la scena. Il  futuro presidente della Camera, fresco dei buoni risultati conseguiti nella sfida a Rutelli per il posto di sindaco di Roma, già si sentiva la copia di De Gaulle, ovvero l’unico in grado di lanciare la nuova Repubblica, ereditando l’elettorato moderato spaventato dall’avanzata dei post comunisti.  Nel corso degli anni, dopo che il Cavaliere gli aveva soffiato il ruolo di protagonista, deve aver pensato molto al modo di riprenderselo, studiando le mosse per scalzare l’usurpatore e finalmente guadagnare la poltrona di presidente del Consiglio. Certo non avrebbe mai  immaginato che al posto di Palazzo Chigi gli sarebbe toccato di finire in un appartamento in affitto, nello stesso stabile che ospita la corrente di Angelino Alfano. Altro che grande progetto: quella inaugurata ieri sembra solo una sistemazione momentanea, giusto per far vedere che il partito c’è.  Ma che dietro le insegne sia rimasto poco e nulla, lo si capisce leggendo i blog dei deputati futuristi. In qualche caso l’homepage apre con l’intervento di Fini del 15 febbraio. In altri c’è qualche foto di repertorio, roba vecchia, giusto per non lasciare le pagine bianche. I commenti scarseggiano: tranne che sul sito di Granata se ne contano uno o due, talvolta nessuno. È questa la più efficace rappresentazione di un partito e del suo leader. L’uomo che voleva la libertà da Berlusconi alla fine ha saputo darsi un unico futuro: quello che si è lasciato alle spalle.