L'editoriale

Andrea Tempestini

Può darsi che abbia ragione Giulio Tremonti quando dice che la manovra in fondo mette le mani in tasca agli italiani ma appena appena. I provvedimenti  non sono una mazzata e neppure un salasso alla maniera di Vincenzo Visco. Però sempre di una spremuta dei contribuenti si tratta. Il fissato bollato introdotto per far cassa alle spalle di chi ha investito un po’ di denaro in titoli, magari non lascerà in bolletta nessuno e lo stesso si può dire della misura che blocca la rivalutazione delle pensioni sopra i 2300 euro lordi. Saranno pure pochi euro al mese, come per l’appunto dice il ministro dell’Economia, ma sono comunque soldi degli italiani e non del Fisco. Il problema è questo. Sebbene non si tratti di una grande rapina, è pur sempre un prelievo forzoso in stile Giuliano Amato. Un colpo di mano di un governo che agisce con estrema destrezza.  Pochi spiccioli che non spostano di un euro il problema: un principio è un principio, anche se la sostanza è poca. Lasciamo perdere per un attimo la questione della tassazione dei depositi titoli, già ampiamente trattata dal nostro Franco Bechis negli scorsi giorni, e concentriamoci sui vitalizi e sul meccanismo che limita il loro adeguamento al rincaro del costo della vita. Si è scritto che il provvedimento colpisce esclusivamente le pensioni d’oro, cioè le più alte. Ma che pensioni d’oro sono quelle per cui si incassa un assegno lordo di 2.300 euro che al netto diventano  1.700? Certo, si tratta pur sempre di una discreta sommetta, ma che non cade dall’alto, per volere del padreterno o di un qualche privilegio di casta. A quel pagamento corrispondono 35 anni di contributi integralmente versati. Intendo dire che il «pensionato d’oro» non è un beneficiato dell’Inps o di qualche altro ente previdenziale. È semplicemente un signore che ha lavorato una vita, ha pagato il dovuto e ora incassa la meritata pensione. Cosa che spesso non può dirsi di chi percepisce un assegno più magro. Se infatti un terzo dei vitalizi non arriva a cinquecento euro non è perché quelli della previdenza sono brutti ceffi,  sporchi e cattivi e si divertono ad affamare i poveri vecchietti. Più semplicemente la pensione è scarna in quanto il titolare non ha versato i contributi  richiesti. Non intendo sindacare: la responsabilità sarà del datore di lavoro che ha fatto il furbo e si è intascato il denaro o del destino cinico e baro che ha costretto il lavoratore autonomo a far la cresta sui versamenti previdenziali essendo questo il solo modo per non dover tirar giù la serranda. Sta di fatto che in media l’Inps restituisce quanto ha ricevuto, maggiorato di quel tot che è dato dalla rivalutazione legale. Così chi ha fatto il furbo viene ripagato con egual moneta. Paradossalmente la norma che limita le rivalutazioni colpisce coloro i quali non hanno lesinato i versamenti all’ente previdenziale e sono in regola sia con gli anni che con il resto. Sono loro i più penalizzati, non i baby pensionati andati  a riposo a quarant’anni se non prima. E neppure gli evasori che con una mano si sono fatti la pensioncina sociale, mentre con l’altra accumulavano in nero un patrimonio. Come detto, non è questione di quanto si perde: è il principio. Invece di tagliare gli sprechi dell’amministrazione pubblica, si limano i risparmi dei privati. Una mossa che non ci saremmo mai aspettati da un governo autodefinitosi  liberale e che arriva in contemporanea al rifiuto di abolire le Province. La chiusura di questi enti da sola vale molto di più di quel che si ricava mettendo le mani in tasca agli italiani. Lo abbiamo scritto. Il bilancio delle Province ammonta a 17 miliardi l’anno. Anche ammettendo che non tutto vada in spese inutili, diciamo che abolendo i consigli delle medesime e tutti i suoi membri già si risparmiano diversi milioncini. Se poi si aggiungono le spese generali e la manutenzione dei palazzi adibiti ad ospitare le suddette amministrazioni si capisce che la faccenda si fa seria. Talmente seria che già ieri in molti hanno aderito alla nostra proposta di una raccolta di firme per sostenere una legge di iniziativa popolare che spinga il Parlamento ad abrogare le Province e tutti gli altri enti inutili. Alla nostra sfida ha risposto anche Antonio Di Pietro, che noi avevamo direttamente tirato in ballo invitandolo a raccogliere le adesioni alla nostra idea. Il leader dell’Italia dei valori ha detto che ci sta e che farà sottoscrivere la proposta. Non avendo preclusioni di sorta, lo ringraziamo. Per parte nostra, nei  prossimi giorni indicheremo i notai presso cui sarà possibile apporre la propria firma. Allora vedremo chi è davvero per tagliare gli sprechi e chi invece sa ridurre solo le promesse.