L'editoriale
In queste settimane a Giulio Tremonti hanno spesso tirato la giacchetta grigia con cui è solito presentarsi al Consiglio dei ministri. I più insistenti sono stati i suoi colleghi, i quali vorrebbero da lui un colpo di bacchetta magica che facesse risalire il governo nei sondaggi. Nonostante il responsabile dell’Economia ripeta fino alla noia che non ci sono soldi, gli altri insistono a dire che bisogna trovarli, perché solo un taglio delle tasse può salvare l’esecutivo, altrimenti meglio rassegnarsi ad alzare bandiera bianca. Fino ad oggi il commercialista di Sondrio ha fatto orecchie da mercante, rimanendo asserragliato nel suo ufficio bunker, dietro la mitica scrivania di Quintino Sella, lontano predecessore che del pareggio di bilancio fece la propria missione. Nella trincea di via XX Settembre Tremonti è però isolato, perché nessuno dei suoi compagni di viaggio si sente di condividere la testardaggine con cui si oppone a ogni sgravio di imposte. Al punto che secondo molti il cannoneggiamento del fuoco amico prima o poi lo piegherà, inducendolo a pentirsi o a dimettersi. Ipotesi più probabile quest’ultima, dato il caratterino del ministro. Ieri però Giulio se n’è uscito con una di quelle mosse che certo i suoi avversari anche interni non si aspettavano. A rivelarla è stato il Corriere della Sera, che ha messo sul suo sito tre scarse paginette dal titolo «I costi della politica». In pratica un decreto pronto per essere votato e spedito in Parlamento. Sette articoli tutti dedicati alla Casta. Poche righe per dire che in un momento come quello attuale, anche la politica deve tornare alla sobrietà. Dunque dalla prossima legislatura tutti i compensi pubblici (compresi quelli dei deputati e dei vari consiglieri regionali, provinciali e comunali) non solo non potranno superare quelli erogati in altri Paesi europei, ma soprattutto non saranno eterni. Basta con le pensioni, i vitalizi e le auto blu a chi per un quinquennio ha occupato la poltrona e se la gode tutta la vita, anche se è stato costretto dagli elettori a tornarsene a casa. Basta con lo spreco degli aerei di Stato e delle vetture con autista. D’ora in poi i politici saranno costretti a prendere voli di linea. Le sole eccezioni saranno per il presidente della Repubblica, per quelli del Consiglio e di Camera e Senato. La scure tremontiana non si ferma lì. Tagli anche al finanziamento ai partiti, che potrebbero essere ridotti fino al 50 per cento. E poi lo stesso Parlamento messo a dieta, con una riduzione delle dotazioni che annualmente vengono sganciate a favore di Montecitorio e Palazzo Madama. Infine, dalle economie non sarebbe escluso neppure Palazzo Chigi. Insomma, tutti dovranno tirare la cinghia, a cominciare proprio da chi ricopre incarichi di responsabilità. Quello di Tremonti è un calcio in faccia alla Casta, una sortita che certo non piacerà a molti onorevoli, i quali parlano spesso di ridurre gli sprechi e di rilanciare l’economia abbassando le tasse, ma si guardano bene dal cominciare dai loro palazzi. Prova ne sia che, come racconta oggi Libero, la Camera sta per comprarsi un’altra sede, perché, a quanto pare, tutte quelle che possiede - e che insieme se non una città formano un paese - non le bastano. La politica farà quadrato come sempre, cercando di ridurre al minimo i danni e accusando il ministro dell’Economia di populismo. Il che in parte è vero. Tagliare gli stipendi e le pensioni dei parlamentari non basterà a trovare il denaro necessario a diminuire le imposte ai ceti che ne hanno bisogno. Né eviterà l’allungamento dell’età in cui gli italiani potranno ritirarsi dal lavoro, godendosi l’agognato vitalizio. Ciò nonostante è un valido inizio. Da qualche parte bisogna cominciare se si vuole risparmiare. E questa è una buona partenza. Se Tremonti riuscirà a varare il decreto, la sua popolarità dentro la maggioranza di sicuro non crescerà, ma forse qualche supporter in più fra gli elettori c’è la possibilità che lo trovi. E questo, per un centrodestra un po’ ammaccato, non è poi tanto male.