L'editoriale
Da quando ha perso le elezioni, il Popolo della libertà ha ritrovato una strana voglia di far fuori Giulio Tremonti. Il titolare dell’Economia è ritenuto infatti dai colleghi il solo responsabile della sconfitta. Non avendo provveduto ad allargare i cordoni della Borsa, com’era d’abitudine di tutti i governi prima dell’apertura dei seggi, avrebbe dato un contributo determinante alla disfatta di Milano e Napoli, oltre che una spinta ai referendum abrogativi. Incerti se liberarsene subito o attendere che passi la nuova bufera finanziaria che si addensa sull’Europa, per ora Berlusconi e i suoi ministri si accontentano di tenerlo nel mirino ogni giorno, intimandogli di procedere subito con i tagli fiscali. Lo vorrebbero con le forbici in mano, pronto a sforbiciare aliquote e offrire sgravi. Nell’immaginazione pidiellina, ma che si ritrova pure in area leghista, Tremonti dovrebbe con un colpo di bacchetta magica tirar giù le imposte, evitando di tirare a fondo anche il Paese. L’impresa, come si può immaginare, non è facile. E non lo sarebbe neppure se il nostro fosse Mago Merlino: per far sparire una montagna di tasse che grava sui portafogli dei contribuenti non basta un gioco di prestigio e neppure un incantesimo. Per quanto i colleghi lo strattonino pretendendo da lui una mossa risolutiva, l’uomo non ha molte possibilità di scelta. Di sicuro non c’è un taglio salva-tutti, ossia una sola misura con cui accontentare i questuanti. Se Tremonti acconsentisse a usare la scure per ridurre le imposte senza curarsi delle entrate, i mercati ci manderebbero in bancarotta, rifiutandosi di sottoscrivere i titoli del nostro debito pubblico oppure pretendendo interessi da strozzinaggio. Inutile dunque tirare per la giacchetta il ministro dell’Economia. In questo modo dalle sue tasche non si caverà un euro. Ciò vuol dire che gli italiani, e prima di loro la maggioranza di governo, si devono mettere l’anima in pace perché il tanto annunciato taglio delle tasse non si farà? Non esattamente. La riforma fiscale come forse qualcuno ingenuamente la immagina non ci sarà, quantomeno a breve. In compenso però si potrebbe alleggerire il peso delle imposte provvedendo a evitare di gettare denaro dalla finestra. Non si tratta della solita campagna anti sprechi, che poi si riduce qualche scarsa limatura ai benefit della Casta (a proposito: in Sicilia sono proprio indispensabili 80 auto blu per portare a spasso 12 assessore, come rivela Panorama in edicola oggi?). Piuttosto di una drastica revisione delle agevolazioni concesse a pioggia dallo stato a una marea di beneficiari. Secondo l’indagine condotta dal ministero dell’Economia in Italia ce ne sarebbero almeno 476, di cui godrebbero vari soggetti, a volte anche singoli, i quali però incamererebbero vantaggi per decine di milioni di euro. Sgravi che sarebbero non solo costosi per le casse pubbliche, ma pure faticosi da tener sotto controllo in quanto richiederebbero strutture preposte a verificarne gli iter burocratici. Insomma, con queste agevolazioni non solo lo stato si svena, ma deve pure spendere per erogarle. Pertanto, nonostante neghi, al ministro sarebbe venuta voglia di dare una bella sforbiciata a tutto il sistema, sfoltendo le centinaia di provvedimenti e dirottando il ricavato a favore della riduzione delle tasse. Probabilmente questo non basterà ad ottenere un risultato apprezzabile dal contribuente, ma potrebbe trattarsi di un inizio, cui dovrebbe ovviamente seguire il resto. Ossia un riordino delle imposte, uno spostamento della mano pubblica dal cittadino alle cose, dall’Irpef all’Iva, in modo da far pagare di più chi consuma di più. Idea in sé semplice, ma difficile da applicare, perché si tratta di scegliere i generi da aggravare, senza però fermare gli acquisti. Altrimenti sarebbero dolori per la crescita. In pratica, si capisce una cosa. Ovvero che, per quanto lo desiderino, anche mettendo Tremonti a testa in giù per svuotargli le tasche, la limatura delle imposte non sarà immediata né drastica. Sicuramente non in tempo per rassicurare i leghisti convenuti a Pontida ed evitare contestazioni. Per fare le cose ben fatte servirà tempo: mesi, forse un anno. Purtroppo la scorciatoia non c’è. E se c’è, non si chiama Tremonti.