L'editoriale
Come ho confessato ieri, per i referendum temo il peggio. Nelle ultime settimane la propaganda è stata martellante. Per indurre gli italiani a recarsi alle urne si è fatto ricorso anche alle sottane delle suore e la gran parte dei giornali di sinistra non ha esitato ad arruolare alla causa persino Papa Ratzinger. Il manifesto e Liberazione, quotidiani che si fregiano ancora del titolo di comunisti, lo hanno sbattuto in prima pagina, riservando alle parole del Pontefice il titolo d’apertura (piccola curiosità: perché non lo fanno anche quando Benedetto XVI condanna l’aborto?). Con un simile bombardamento, mi sono detto, difficilmente gli elettori rimarranno a casa. Convinti falsamente che ci sia in gioco la salute e la proprietà di un bene pubblico come l’acqua, correranno in massa ai seggi e metteranno la crocetta sui sì, abrogando tutto quel che c’è da abrogare. Dal pomeriggio di ieri però qualcosa mi induce a sperare che non tutti gli italiani si siano fatti gabbare. A restituirmi un po’ di speranza è stata la nostra Elisa Calessi, la quale, inviata a seguire il concertone per il referendum, mi ha mandato un sms. «Impressionante: non c’è nessuno». Abituata alle adunate del sindacato e del Pd, Elisa si era avviata verso piazza del Popolo, a Roma, convinta di trovarvi decine di migliaia di persone. L’attesa per il raduno era un po’ quella del primo maggio, anche perché i promotori del referendum si erano dati da fare convocando un certo numero di cantanti e allestendo uno spettacolo che intrattenesse gli ospiti. Invece, alle quindici, nella piazza c’erano poche decine di persone. Sotto il palco, mentre cantava Teresa De Sio, i manifestanti potevano essere contati senza fatica. Di fronte al banchetto del Fatto quotidiano, il deserto. Confesso che parlando con Elisa, pur conoscendola per la sua precisione, ho pensato che esagerasse nel minimizzare i numeri. E quindi ho cliccato sulle pagine online di alcuni giornali per vedere la diretta della manifestazione. I cameramen dovevano essere imbarazzati per l’esiguità dei partecipanti, tanto da non mostrare quasi mai il pubblico. Le poche volte che lo hanno inquadrato però sono state sufficienti per convincermi del flop. Nonostante l’appoggio del Pd e dell’Italia dei valori, in pochissimi si sono dati appuntamento in piazza del Popolo. La situazione non è migliorata con il passare delle ore. Alle diciotto in totale si potevano contare poche centinaia di persone, ma nulla di più. E questo nonostante non piovesse. Insomma, mi sono detto, forse non tutto è perduto. Può essere che gli italiani non si siano fatti infinocchiare dalle molte chiacchiere dei referendari e abbiano capito che è tutto un bluff. Magari hanno compreso che la faccenda dell’acqua non è come la racconta quel vecchio arruffapopoli di Di Pietro. Leggendo ciò che scrive qui a fianco un giovane poco avvezzo ai raggiri della politica come Matteo Renzi, il sindaco piddino di Firenze, probabilmente si rassicureranno: le norme sulla gestione della rete idrica non sono la rapina di un bene pubblico, ma un mezzo per eliminare sprechi e lottizzazione. Renzi rivela che una legge analoga la varò nel 1996 Romano Prodi e il provvedimento portava la firma dell’allora ministro Di Pietro, sbugiardando così il leader dell’Italia dei valori. Forse l’appello di intellettuali e scienziati per il no all’abrogazione del nucleare ha fatto breccia nel muro di paure eretto dalla sinistra al solo scopo di portare in massa gli italiani a votare. In discussione, lo abbiamo già scritto, non c’è la possibilità di costruire alcuna centrale atomica, giacché il programma dopo Fukushima è stato abbandonato. Il motivo per cui i progressisti spingono gli elettori alle urne (a differenza di quanto fecero qualche anno fa, quando invece sostennero la campagna per l’astensione) è il solito. Quello per cui si dannano l’anima da 17 anni: battere Berlusconi. Fino a giovedì avrei scommesso sulla possibilità che ce la facessero. Ma da ieri comincio a nutrire qualche dubbio. Forse non è ancora detta l’ultima parola. Basta non cadere nella trappola del voto.