L'editoriale

Andrea Tempestini

Domenica e lunedì si vota. Secondo Di Pietro in ballo ci sono acqua, aria e legalità. In realtà il referendum è, come al solito, su Berlusconi. La sinistra e i suoi giornali sperano sia l’occasione di ammollargli un’altra scoppola dopo quella brutta delle amministrative. Contano in tal modo se non di accopparlo, almeno di azzopparlo malamente. In senso politico s’intende, sebbene a qualcuno non dispiaccia farlo anche fisicamente. E  nel caso gli italiani vadano a votare è quasi certo che ci riescano. Cosa ci induce a essere così pessimisti? Il clima. Non quello meteorologico, ma politico. Si respira in giro un’aria rancorosa e una voglia di farla pagare al Cavaliere e alla sua squadra. E ciò porta a non farsi scrupoli, raccontando un sacco di balle agli elettori. Lo dimostra quanto si è dato a bere a proposito dell’acqua. Le norme volute dal governo mirano a rimettere ordine nel settore, rendendolo più efficiente e meno soggetto a sperperi. In pratica è uno sgambetto alla casta, che nelle società di gestione degli acquedotti ha infilato amici e parenti. Consentendone la privatizzazione si  chiude il rubinetto degli sprechi e si modernizza la rete idrica. E ciò sarebbe auspicabile, soprattutto al Sud, dove interi quartieri  o addirittura città spesso restano a secco perché le municipalizzate sono carrozzoni che badano a distribuire clientele ma non l’acqua. Le norme sono talmente utili che Bersani e il suo partito tempo fa ne avevano proposte di analoghe. Ma per battere Berlusconi tutto fa brodo, anche l’acqua. E allora la sinistra ha raccontato agli italiani che si vuole svendere un bene pubblico fondamentale, sostenendo con questa legge saranno costretti a pagare una bolletta salata. L’acqua in realtà è pubblica e rimane pubblica e nessuno l’ha messa in vendita. Ciò che può essere privatizzato è la gestione della distribuzione. Esattamente come accade con il gas. Il resto sono frottole. Ma le sciocchezze hanno presa su una certa fascia di elettori, soprattutto se si fa leva sulla paura. È ciò che sta accadendo con il nucleare. Il governo aveva deciso di inserire nel piano energetico la possibilità di costruire centrali atomiche, modificando dunque le norme varate 24 anni fa, all’indomani di Chernobyl. Si trattava di recuperare un ritardo rispetto a tutti gli altri paesi europei, i quali si erano ben guardati dal sospendere gli investimenti nel settore. Dopo l’incidente di Fukushima era però apparso irrealistico proseguire col programma appena varato. La fuga radioattiva in Giappone ha spaventato tutti quanti e l’annuncio della costruzione di un reattore avrebbe scatenato la sollevazione degli abitanti di qualsiasi centro fosse stato prescelto. Dunque, meglio sospendere ogni progetto e attendere tempi migliori, fra cinque o dieci anni, quando la situazione si fosse fatta più calma. E così è stato. Ma a sinistra questo non è bastato. Sapendo che il nucleare è un argomento che divide e mobilita l’elettorato, ha preferito insistere, sperando di trascinare ai seggi elettorali più persone possibili. L’obiettivo non è di fermare le centrali atomiche, che sono già ferme. Ma di far votare l’altro referendum, l’unico che al Pd e ai suoi compagni interessi. Ossia quello sul legittimo impedimento. Di che si tratta è noto. La legge fu varata poco più di un anno fa con l’intento di proteggere il Cavaliere, ed evitargli di trascorrere più tempo nelle aule di Palazzo di giustizia che in quelle di Palazzo Chigi. Per diciotto mesi il presidente del consiglio avrebbe potuto invocare il legittimo impedimento, ossia far slittare le udienze in quando occupato con l’attività di governo. La norma è già passata al vaglio della Corte costituzionale, la quale l’ha in gran parte resa inefficace, attribuendo ai giudici la discrezionalità di valutare  la giustificazione addotta da Berlusconi. In pratica sono le toghe a decidere se può disertare il tribunale oppure no. Oltretutto la ormai blanda tutela è prossima alla scadenza. Il referendum a che servirà dunque? A cancellare una legge che è in vigore ancora per poco più di un paio di mesi: luglio, agosto e qualche settimana di settembre. Ma considerando che la giustizia in estate va in vacanza per oltre un mese, si capisce che il plebiscito si prefigge di abrogare una misura già morta. Quindi, perché i referendari si stanno impegnando allo spasmo per mandare la gente a votare? La risposta è ovvia. Si  stanno dannando l’anima per sconfiggere Berlusconi . L’impiego di mezzi e di spesa ha come obiettivo battere il Cavaliere una seconda volta, al fine di disarcionare il governo. Non c’è altra ragione.  Ma purtroppo la campagna di falsità rischia di aver successo. La paura, del nucleare e dell’acqua venduta ai privati, fa quaranta. L’unica possibilità di rimontare sulle fandonie è restare a casa. Senza quorum, l’attacco al cuore del centrodestra fallisce. In pratica, questa volta non votare è meglio che votare.