L'editoriale

Andrea Tempestini

Ieri, a Roma, c’è stata la prima udienza del processo a Berlusconi. Non si è trattato dell’ennesimo procedimento giudiziario che le procure hanno gettato tra i piedi del Cavaliere allo scopo di farlo inciampare. Ma del primo vero e franco tentativo di mettere sotto accusa il presidente del  Consiglio per la sconfitta elettorale di Milano e Napoli. A organizzarlo è  stato uno sparuto gruppo di giornalisti e di simpatizzanti riuniti da Giuliano Ferrara, tra i quali il sottoscritto. Al grido di «Facciamo la festa a Berlusconi»  si è insomma ragionato degli errori da lui commessi e di come aiutarlo a evitarne di futuri. Intendiamoci: sui piatti della bilancia ci sono più successi che fallimenti. Quando quasi diciassette anni fa fondò Forza Italia,  Silvio promise una rivoluzione liberale. L’obiettivo era la modernizzazione del Paese e, nonostante ora pochi ne abbiano memoria, molto è stato realizzato. Se oggi disponiamo di un mercato del lavoro più flessibile e meno ingessato dal sindacato lo dobbiamo al Cavaliere, al suo governo e a Marco Biagi che per quelle norme ci rimise la pelle. L’unica riforma anticasta, che mirava a ridurre il numero dei parlamentari e a evitare i doppioni fra Senato e Camera, porta la firma di Berlusconi: purtroppo sciaguratamente la sinistra la abolì col referendum paventando un regime. Tra le cose buone ci sono la più seria riforma universitaria mai fatta in questo Stato: perfino professori che arricciano il naso solo a sentire nominare il Cav. sono stati costretti ad ammetterlo. Di positivo ci sarebbero anche la legge sulla gestione dell’acqua e il piano energetico, ma ormai sono diventati merce di scambio per mandare a casa il premier e dunque grazie a Di Pietro e compagni c’è da giurare che non dureranno. Pure sul fisco i governi Berlusconi avevano messo in campo cose egregie: anche se ora tutti fanno a gara a dimenticarlo nel ’94 fu varata la Tremonti e nel 2001 la Tremonti bis, più un accenno di riforma tributaria. Poi la crisi ha inceppato tutto. Gli sforzi per cambiare sono stati dunque molti. Purtroppo non tutti hanno funzionato. Anzi, in qualche caso gli interventi sono stati fallimentari. In particolare sul fronte della giustizia e su quello della Rai. Paradossalmente sono anche quelli in cui lo stesso Berlusconi si è impegnato di più. Alcuni li hanno definiti le sue ossessioni. Sta di fatto che, soprattutto negli ultimi tempi, il Cavaliere ha intensificato i discorsi su entrambi i fronti. Con il risultato, ahinoi, di certificare la sua sconfitta. Più parla di toghe rosse e di una tv pubblica al servizio della sinistra e più comunica al proprio elettorato che in diciassette anni non è cambiato nulla. Pare incredibile: ma il presidente del Consiglio ha impostato gran parte della scorsa campagna elettorale sugli insuccessi invece che su quanto è riuscito a portare a compimento. Lui, il mago della comunicazione, invece di parlare in positivo ha puntato tutto sul negativo. Dice Ferrara: così ha stufato. Probabile. Di certo ha sbagliato, perché la parte del perdente non è nelle sue corde. Lui impersona la vittoria, non il vinto. Che fare ora? Basta la nomina di Angelino Alfano a risolvere il problema? Ovvio che no. Il Guardasigilli è persona capace e ammodo, ma da solo non potrà fare molto. In pratica la sua designazione serve solo a diluire nel tempo i nodi da affrontare: è  un modo per prendere tempo. E allora? Giuliano dice: indiciamo le primarie, ovvero un appuntamento in cui ordinatamente gli elettori e i simpatizzanti scelgono leader e organi dirigenti del centrodestra. Anche noi di Libero le abbiamo indette via Internet, dando sfogo a un bisogno che c’è nel popolo del Pdl e della Lega. Ma le primarie si fanno per scegliere un leader quando non lo si ha e da noi il leader ancora c’è, seppure ammaccato dalle sberle di Milano e Napoli e da quelle future dei referendum.  Se le primarie si fanno in maniera seria non si può prescindere dal Cavaliere, il quale se partecipa alla corsa state tranquilli che la stravince. Dunque a cosa serve mettere in piedi una gara quando si sa già chi arriverà primo? A rilegittimare Silvio? Ma lui di simili investiture non ha bisogno. Andiamo dunque alla domanda vera, che nessuno ha il coraggio di fare ad alta voce, ma che tutti in realtà hanno in testa. È giunta l’ora di rottamare Berlusconi? Di stabilire che ha fatto la sua epoca e che ora deve mettersi da parte,  lasciando che una nuova classe dirigente del centrodestra si faccia le ossa in vista delle prossime sfide elettorali? Vi do la mia risposta. Io penso che il premier sia a un bivio: o fa un passo avanti o ne fa uno indietro. Restare fermo significa solo perdere altri consensi e consegnare il Paese a un’armata Brancaleone composta da Bersani, Vendola, Di Pietro e da ciò che resta di Fini. Vuole questo Silvio? Vuole chiudere con una sconfitta ancor più bruciante di quella delle Amministrative? Io penso di no. Penso che debba muoversi. Non so dire se per ritirarsi o per rilanciare. Questo lo sa solo lui e non ha bisogno di qualcuno che glielo suggerisca. Berlusconi deve dire a se stesso prima che agli altri se ha la forza per  rimontare il declino. Se non ce l’ha, tiri lui le conclusioni. Ma se - come io penso  - ce l’ha,  allora tiri fuori la grinta. Smetta di parlare di giudici e di Rai, ché non serve a nulla, e restituisca al popolo di centrodestra il sogno di poter cambiare il Paese. Impari da De Magistris e Pisapia: erano due perdenti, su cui all’inizio nessuno avrebbe scommesso. Eppure ce l’hanno fatta, comunicando agli elettori una speranza, vera o sbagliata che fosse. Su  Cavaliere, prova a ridare fiducia all’Italia: se non a tutta, almeno a quella che per diciassette anni ti ha votato. Insomma, Silvio, facci sognare.