L'editoriale
È suonato l’allarme. Stavolta è allarme rosso e c’è poco da scherzare, nonostante le rassicurazioni piovute dall’alto. Ci riferiamo all’euro sceso a picco (da 1,45 a 1,43 sul dollaro) soltanto perché il tedesco Der Spiegel Online se n’è uscito ieri con una indiscrezione: la Grecia, con l’acqua alla gola causa deficit mostruoso e debito ingestibile, sarebbe intenzionata a dire addio alla moneta unica. Ovviamente sono seguite smentite a raffica, come sempre accade in questi casi. Il problema è che quando si parla con insistenza di una cosa poi succede davvero. E allora conviene prepararsi cercando almeno di analizzare il presente e di immaginare il futuro. Il tema riguarda da vicino anche l’Italia, ecco perché ci sta a cuore. Che la Grecia sia nella melma è un dato oggettivo. Ha speso negli ultimi anni molto più di quanto aveva in tasca e si è indebitata oltre ogni misura lecita. È stata costretta a emettere titoli di Stato in quantità esorbitante nella speranza di rimontare, esattamente come fanno i giocatori incalliti che più soldi perdono alla roulette e più alzano le loro puntate; e finché non si sono venduti tutto, camicia compresa, continuano a sfidare la sorte. La Grecia più o meno è in una situazione come quella descritta. Basti pensare che gli interessi che versa a chi abbia sottoscritto i suoi Bond superano il venti per cento. Il che significa: è rischioso prestare i soldi a questo Paese. Il quale pertanto accetta condizioni da strozzinaggio pur di avere ossigeno per sopravvivere. Non può durare. Se non è oggi sarà domani, la Grecia imploderà. Per evitare ciò, non ha alternative: salutare l’euro e tornare alla vecchia dracma. Il suo debito si ridurrebbe sensibilmente, e i creditori sarebbero bidonati. Ci rendiamo conto: è una brutale semplificazione, ma rende l’idea. Una simile eventualità provocherebbe, per una sorta di contagio, effetti disastrosi: l’Irlanda andrebbe subito a ramengo, il Portogallo e la Spagna pure. E l’Italia? Stendiamo un velo pietoso (per inciso, ricordiamo che pure noi abbiamo prestato soldi alla Grecia. Soldi dello Stato, cioè dei cittadini). Insomma, l’abbandono in massa dell’euro comporterebbe la morte della moneta unica, perché la Germania avrebbe tutto l’interesse a ripristinare l’antico sistema Bundesbank e a imporre il resuscitato marco sul mercato dei cambi. Un male o un bene per noi? Un male perché abbiamo un debito pubblico altissimo che l’euro ci ha aiutato a blindare, un bene perché svalutando - a danno dei ricchi o di chi comunque ha un patrimonio mobiliare - avremmo la possibilità di incrementare le esportazioni. In passato la svalutazione periodica era al tempo stesso un segno di debolezza e un punto di forza su cui ci basavamo per rilanciare l’economia. Una soluzione per evitare lo sfascio della moneta unica ci sarebbe. La suggerì Tremonti invano. Introdurre cioè i Bond europei che sarebbero una garanzia contro gli speculatori, ora ingolositi da interessi folli che si registrano sui Bond emessi dai Paesi in difficoltà. È assurdo avere l’euro, continentale per definizione, e debiti pubblici nazionali sganciati dalla casa madre: l’Ue. Il dramma della Grecia (che potrebbe diventare il dramma di varie nazioni) riepilogando è questo: ricorrere ai prestiti per tirare avanti, pagare interessi da cravattari e non avanzarsi un centesimo, nonostante tagli alla spesa pubblica, per restituire il capitale. Il baratro è dietro l’angolo. Ergo. La Grecia, se non muta drasticamente le norme, fallisce (e anche noi perdiamo una montagna di quattrini). Altri Paesi faranno la stessa fine. L’Europa si sgretolerà. E se oggi tu, caro lettore, hai 100 mila euro depositati in banca, domani il potere di acquisto della tua somma sarà pari a 50 mila euro. Non è una bella prospettiva.