L'editoriale
Remigio Ceroni: vi dice niente questo nome? Si tratta di un deputato (Pdl) marchigiano che ha presentato una legge di riforma costituzionale per modificare l’articolo 1 della Carta. Una riforma piccola piccola ma di grande (e discutibile) significato: la volontà del Parlamento - secondo il proponente - dovrebbe stare al di sopra di tutto e di tutti, della Consulta e perfino del presidente della Repubblica. Giusto, sbagliato? Dipende dai punti di vista, e il nostro - in materia - è confuso. È un fatto che Ceroni, anche se non ha risolto il problema, lo ha comunque centrato: la Costituzione va corretta perché è inammissibile che, abolita l’immunità per deputati e senatori, la politica abbia perso il primato. Ma questo è secondario rispetto a ciò che stiamo per raccontarvi: serve solo a inquadrarla. Si dà il caso che l’onorevole Ceroni, per il sol fatto di aver osato presentare la modifica di cui sopra, sia stato travolto da improperi: come si permette codesto signor Nessuno di discettare su questioni più alte di lui? Egli è diventato l’uomo del giorno sul quale vi è licenza di sputacchiare: d’altronde è un berlusconiano del cacchio. E molti, in effetti, dopo averlo aspramente criticato, lo hanno spruzzato di metaforica saliva. Nell’esercizio si è particolarmente distinto un quotidiano di moda: Il Fatto Quotidiano. Che ieri ha dedicato allo sfrontato onorevole del Pdl addirittura il titolone di apertura della prima pagina, di norma riservato alle notizione: «Ieri picchiava la moglie, oggi riforma la Costituzione». Testuale. Sommario: «Remigio Ceroni, nuova stella del Pdl, si è fatto largo nel partito regalando prosciutti. Contro l’uomo che vuole stravolgere la Carta per punire Quirinale e Consulta una vecchia denuncia per percosse...» La storia, data anche la collocazione nella vetrina del giornale, ci ha incuriositi e ci siamo gettati nella lettura dell’articolo firmato Sandra Amurri, nel quale però non abbiamo trovato i particolari che ci aspettavamo, utili per comprendere l’accaduto e relative circostanze. Dove Ceroni ha menato la moglie fino a renderne necessario il ricovero al pronto soccorso? In quale ospedale la poveraccia è stata medicata? Quale prognosi i medici hanno emesso? Quali le cause del pestaggio? Quando e dove la signora ha sporto denuncia? C’è stato un processo? C’è stata una condanna? Zero. Neanche un cenno di risposta ai basilari interrogativi. Pazienza. A volte anche i cronisti provetti e i loro capi lavorano maluccio e con risultati deludenti. È capitato anche a noi. Non è finita. C’è una coda. La sera precedente la pubblicazione del lacunoso servizio, il direttore de Il Fatto Antonio Padellaro va in tivù (Linea notte, programma di approfondimento del Tigitré) a commentare con altri ospiti le notizie salienti della giornata, tra cui quella scelta dal suo quotidiano: le botte che Ceroni avrebbe dato alla consorte. Uno dei colleghi in studio, Loquenzi, dice: ma questo è il metodo Boffo... Padellaro, davanti all’infamante accusa, si è alterato: non è vero, la nostra esclusiva è fondata, quella che fu pubblicata da Il Giornale (allora diretto da me: n.d.r.) viceversa era una sola; ecco la differenza sostanziale. Errore. La notizia che Boffo è stato condannato per molestie è esatta, altro che fola. Mentre il particolare che egli sia omosessuale non era e non è, allo stato, processualmente dimostrabile, sicché fu rettificato.Vabbé, sorvoliamo. Nel nostro mestiere, che si svolge alla velocità di cento allora, è facile sbagliare e l’importante è riparare. Il problema è un altro, e ben più grave. Sempre ieri, la nostra eccellente Barbara Romano ha intervistato la signora Ceroni e le ha chiesto delle percosse subite dal marito, del suo ricovero e della conseguente denuncia. La donna ha sorriso un po’ stupita e un po’ divertita e ha risposto candidamente: «L’unica volta che sono stata in un letto d’ospedale è stato quando ho partorito».Come, non ne ha prese un vagone? Pura invenzione. Allora le ipotesi sono due: o ha inventato Il Fatto o la sposa del deputato ha detto una bugia pietosa. Va aggiunta solamente una considerazione elementare: se è buona la ipotesi numero due, sarà agevole verificarla perché se denuncia c’è stata, non può essere sparita e non sarà un’impresa rintracciarla. Se è buona la numero uno, Antonio Padellaro non avrà altra scelta se non quella di smentire, scusarsi con la famiglia Ceroni, grossolanamente diffamata, e con i propri lettori non solo per aver scritto il falso, ma anche per aver rimproverato a me un peccato meno pesante di quello commesso da lui. Tertium non datur. In attesa che Il Fatto faccia chiarezza sulla vicenda, e ci dica se la sua sia una macchina del fango oppure la bocca della verità, invitiamo l’Ordine dei giornalisti a non infilarci il becco, onde evitare maggiori guai.