L'editoriale

Giulio Bucchi

Chi ha promosso la guerra contro Gheddafi prenda atto di aver fallito. Gli Stati Uniti si sono defilati, non bombardano più, hanno addirittura ritirato i loro mezzi più potenti: si sono accorti di aver sbagliato. Il comando della Nato ripete di non poter uccidere il raìs perché ciò non rientra negli obiettivi indicati dalla risoluzione dell’Onu. L’Inghilterra tentenna: mi butto o non mi butto? E la Francia si è rivelata per quel che è: velleitaria. Un giorno fa il leone, il giorno dopo la pecora. E l’Italia? Solita storia: non sa con chi stare. Ha aderito alla coalizione favorevole al conflitto con la Libia, ma appena appena. Ha messo a disposizione le basi militari, però Berlusconi si è affrettato a dire che gli dispiace attaccare Tripoli, perché in fondo il dittatore è suo amico. Involontariamente, ha confermato la nostra vocazione - che è poi la sua - a non essere né carne né pesce. Il badoglismo ha trionfato ancora una volta. Si era detto che la campagna contro il  despota sarebbe stata una passeggiata e, invece, il despota è ancora lì seduto sul trono. Traballa ma non cade. In Cirenaica si combatte da mesi, e in Tripolitania pure: chi ha vinto? Nessuno. Chi ha perso? Nessuno. Quando sembra che i ribelli l’abbiano spuntata, immediatamente si registra la reazione delle truppe del Colonnello. Risultato: zero a zero. La domanda che tutti si pongono è la seguente: perché l’Occidente si è impegnato in questa guerra inconcludente, rimediando solo figuracce? In effetti fa impressione constatare che le più grandi potenze del mondo non riescano a piegare un piccolo (sia pur feroce) satrapo africano, per altro privo di armamenti all’altezza degli avversari. La risposta è una sola: hanno commesso un grave errore e non sanno rimediare. Se abbandonano l’impresa, ammettono di aver agito superficialmente (se non stupidamente); se continuano a sganciare bombette dagli aerei, e non intervengono pesantemente a terra per chiudere la partita, permane la situazione di stallo. E la Libia, anziché essere aiutata a stare meglio, sarà spinta verso la miseria. Era lo Stato con il più alto grado di benessere, tra poco sarà quello più affamato. Come la Somalia, che l’Occidente soccorse per salvare e, invece,  sotterrò. Succede sempre la stessa cosa: dove arriva l’America con i suoi alleati per sistemare le cose, in realtà, le complica. Non lo diciamo noi, ma la storia: dal Vietnam all’Afghanistan eccetera, è una catena di disastri. La palma dei più fessi tocca all’Italia. Berlusconi aveva stretto un accordo con Gheddafi: noi davamo soldi a titolo di risarcimento per i danni provocati dalla colonizzazione e la Libia, in cambio, garantiva commesse e appalti e petrolio alle nostre imprese; in più si faceva carico di arginare le migrazioni degli africani. Il patto funzionò per oltre un anno. Tanto è vero che a Lampedusa gli sbarchi furono ridotti a zero. Poi sappiamo come è andata. Esplode la rivolta in Tunisia, in Egitto  e, per contagio, in altri Paesi, quindi anche in Libia. Chissà perché, l’Occidente si è mobilitato solo per quest’ultima, dichiarandole guerra. Scopo: dare una mano agli insorti della Cirenaica. Il conflitto viene legittimato dalle Nazioni Unite. E il nostro governo, pur malvolentieri, partecipa  senza discutere. Perché non ha posto delle condizioni? Perché non ha detto ciò che andava detto? E cioè: cari amici, se diamo il via alla battaglia, i nostri accordi con Gheddafi vanno a pallino; di conseguenza ricominceranno a sbarcare a Lampedusa migliaia di profughi e clandestini. Ergo, noi entriamo nella coalizione e offriamo le nostre basi solo se vi addosserete parte dell’onere di accogliere gli immigrati. Un po’ per uno non  fa male a nessuno. Sarebbe stata una proposta decente  e gli alleati l’avrebbero accettata. In caso contrario, l’Italia sarebbe rimasta neutrale e il raìs non avrebbe disdetto il contratto a suo tempo sottoscritto con il Cavaliere. Oggi comunque non saremmo alle prese col dramma degli sbarchi pressoché quotidiani né avremmo subito l’umiliazione del rifiuto europeo a condividere i disagi delle invasioni barbariche. Ovvio, i negoziati si fanno prima, non dopo che i buoi sono fuggiti dalla stalla. Dicevamo sopra che ci spetta la palma dei più fessi. Già. Fessi due volte. Siamo entrati in guerra contro Gheddafi, che era nostro amico e ci proteggeva dall’immigrazione selvaggia; e i nostri alleati bellicisti, oltre a non essere capaci di sconfiggere il tiranno, ci rifilano in blocco i disperati in fuga dal Nordafrica. Affermano spudoratamente che questo è affar nostro benché sia anche affare loro, dato che il fenomeno profughi è provocato dal conflitto e non da negligenza italiana. Un conflitto per giunta idiota, come ormai i fatti dimostrano, visto che non è servito e non serve neppure a sostenere la causa degli insorti, inspiegabilmente simpatici all’Occidente nonostante siano, forse, peggiori del dittatore. In effetti, se si dà un’occhiata a quanto accade in Africa, è fatale dubitare dello spirito democratico che animerebbe i movimenti sovversivi nati - così almeno si pensa - dall’aggregazione giovanile su Internet. In Egitto il regime militare di Mubarak teneva a bada gli islamisti che ora flirtano con l’Iran. In Siria, il figlio di Assad resiste. Insomma, dove al potere ci sono i militari, se non altro non spadroneggia Al Qaeda. Incoraggiare il rovesciamento dei regimi forti in certe zone - inclusa quella libica - in cui la democrazia non ha alcuna tradizione significa spalancare le porte ai tagliatori di testa. Qual è il vantaggio? È preferibile rimanere a casa nostra, e difenderla da chi mira ad occuparcela. A proposito. Gheddafi minaccia di mandarci qui altri 15 mila sbandati. Che si fa? Ce li teniamo per dare soddisfazione all’Europa e non arrecare disturbo alla Francia e alla Germania? Così fosse, saremmo non due, ma tre volte fessi.