L'editoriale
Al grido di «Berlusconi devi morire», ieri il popolo viola ha preso d’assedio il Parlamento. Chi sono gli appartenenti a questo movimento? A giudicare dalle bandiere presenti in piazza, qualche esponente dell’Italia dei valori ma anche alcuni militanti di Futuro e libertà, uniti agli odiatori di professione da sempre in prima linea. Vi domandate che ha fatto il presidente del Consiglio per meritarsi tanto rancore? Niente. O meglio, non ha dato ciò che la parte più violenta dell’opposizione si aspettava: le dimissioni. Nonostante gli innumerevoli agguati e le aggressioni anche personali, il Cavaliere è sempre lì, a Palazzo Chigi, e per quel che si intuisce ha intenzione di restarci almeno fino alla fine della legislatura. Per gli estremisti dell’antiberlusconismo tutto ciò è intollerabile e non riescono assolutamente a digerirlo. Per cui hanno preso a pretesto il voto a Montecitorio sul conflitto di attribuzione protestando come se nell’aula parlamentare fosse in corso un golpe. Ma la richiesta votata ieri dalla Camera è un gesto prepotente e antidemocratico come sostengono Di Pietro e soci? La risposta è no. Sollevare un conflitto tra poteri dello Stato è una procedura prevista dalla legge. Non c’è nulla di arrogante, semplicemente è un modo per chiedere alla Corte costituzionale di giudicare se abbia ragione il Parlamento oppure i giudici. Rimettersi al verdetto della Consulta è cosa lecita e regolare, talmente normale che prima di ieri la Camera vi ha fatto ricorso ben otto volte, mentre il Senato quattro. Ma in questo modo Berlusconi si sottrae al suo giudice naturale? Balle. Così il Cavaliere chiede ai giudici delle leggi di stabilire quale sia il suo giudice naturale, se quello ordinario di Milano oppure il Tribunale dei ministri, che comunque sempre toghe sono e non amici intimi del premier. In pratica la Corte costituzionale, cioè un organismo terzo che già più volte ha dato torto al governo di centrodestra riformandone le leggi, stabilirà a chi tocca giudicare il presidente del Consiglio. Il Popolo viola, se fosse in buona fede, pur odiando Berlusconi dovrebbe dunque dormire tranquillo, certo che i fatti del Cav. saranno vagliati dall’organo più imparziale che ci sia. E invece no, i contestatori sono agitatissimi e nervosi. E la ragione è una sola. Con tutti i processi che i pm di Milano hanno predisposto in queste settimane, già l’opposizione pregustava la spallata finale per liberarsi del Cavaliere. Il processo Ruby doveva essere il colpo definitivo, con la sfilata di ragazze nell’aula di tribunale, la vita privata del premier scandagliata e messa in piazza come un delitto, in modo che l’operazione sputtanamento fosse completa. Così invece potrebbe non essere. Quanto auspicato da Repubblica e da il Fatto quotidiano - giornali pronti a leccarsi i baffi con la pubblicazione degli interrogatori - potrebbe essere sospeso proprio sul filo di lana. La Corte costituzionale, valutando il conflitto d’attribuzioni, è in grado di rompere il giocattolo con cui la sinistra giudiziaria pensava di divertirsi nei prossimi mesi. E i giudici di Milano in tal caso dovrebbero sospendere il giudizio in attesa del pronunciamento, come abitualmente si fa. Una simile prospettiva ha fatto perdere il lume della ragione agli antiberlusconiani e dunque c’è da ritenere che nei prossimi giorni faranno anche peggio. Ma nonostante i propositi minacciosi e violenti, il popolo viola resta sempre una minoranza della quale fanno parte dipietristi, ex fascisti e qualche rottame comunista. I soliti quattro gatti insomma. Quelli che girano di manifestazione in manifestazione.