L'editoriale
È successo quello che tutti immaginavano, tranne le anime belle dell’accoglienza a ogni costo purché a pagarlo siano altri. Lampedusa è in rivolta causa saturazione. Un immigrato, dieci, cento, mille immigrati sono tollerati specialmente in una situazione di emergenza quale questa è, anche in conseguenza della guerra in Libia, da cui fuggono in molti per recarsi in Tunisia, restringendo lo spazio lavorativo agli indigeni che, a loro volta, sono spinti a migrare. Un circolo vizioso di cui fa le spese l’isola, primo approdo per chiunque si avventuri nel Mediterraneo allo scopo di giungere in Italia. I lampedusiani da anni vengono periodicamente invasi e ci hanno fatto il callo. Sanno sopportare. Addirittura hanno mostrato grande generosità con i poveracci catapultati dalla miseria e dalla fame in casa loro. E anche nelle ultime settimane si sono prodigati per alleviare disagi e sofferenze dei più deboli. Avrebbero meritato una medaglia alla pazienza, invece sono stati invitati a resistere per ragioni di Stato. Davanti al menefreghismo delle istituzioni, dapprincipio la popolazione ha fatto udire la propria voce nei vari programmi d’informazione televisiva, poi la sua protesta è cresciuta fino a trasformarsi in rabbia. Era inevitabile. Occorre sapere che i cittadini di Lampedusa sono poco meno di seimila, e che a un certo punto gli stranieri sono saliti a settemila. È vero che parecchi profughi sono stati prelevati e condotti altrove. Però, per mille che levavano le tende, altri mille le piantavano. La gente non ha resistito più. Ora l’isola è un campo di battaglia, dopo essere stata ridotta a una fogna a cielo aperto. Come si fa a pretendere che un fazzoletto di terra circondato dal mare ospiti, sia pure temporaneamente, settemila disperati che mangiano, bevono, dormono, fanno i loro bisogni e producono montagne di immondizia in assenza di strutture idonee? Se consideriamo che nel mucchio selvaggio non mancano delinquenti (una famiglia è stata derubata e picchiata) e provocatori organizzati, sbarcati muniti di cartelli con scritte offensive, pronti a far cagnara perché i pasti non sono di loro gradimento, a urlare perché esigono questo e quello, si ha l’idea del caos con cui i lampedusiani debbono fare i conti. Non stupisce che sia scoppiata una baraonda. Se si va avanti così, alla carlona, senza risolvere il problema, stiamo certi: ci scapperà il morto. Vogliamo arrivare a tanto? Le nostre non sono preoccupazioni gratuite. Anche perché, mentre Lampedusa diventa ogni giorno più invivibile, i buonisti francesi (quelli della guerra umanitaria contro Gheddafi e in appoggio dei ribelli della Cirenaica) a Ventimiglia, dove i tunisini francofoni si sono ammassati in attesa di transitare in Francia, i gendarmi praticano con rigore i respingimenti. Chi tenta di passare la frontiera, e non è comunitario, non ha scampo: viene bloccato e obbligato a fare dietrofront. Siamo così al paradosso. L’Italia non può far rispettare i propri confini all’estremo Sud ed è indotta a spalancare le “porte” a chiunque, criminali inclusi, per non essere accusata di omissione di soccorso; la Francia sponsor della guerra, viceversa, non vuole storie e non autorizza nessun profugo a mettere piede sul proprio territorio. Col silenzio assenso dell’Europa che è inflessibile soltanto con noi. Fino a quando ci assoggetteremo?