L'editoriale

Giulio Bucchi

Avrebbe dovuto essere una guerra lampo, una specie di passeggiata per consentire al Napoleone tascabile di gonfiare il petto e appuntarsi la medaglia per la riconferma alla guida della Francia. Invece più passano i giorni e più si ha la sensazione che quella libica sia una trappola in cui l’ambizione e la spregiudicatezza di Sarkozy hanno fatto cadere l’Occidente. I cui esiti sono difficilmente immaginabili, ma certamente diversi da quelli sognati dall’inquilino dell’Eliseo. Da una settimana insistiamo nel dire che la missione in Libia non ha né capo né coda, che è stata decisa in tutta  fretta, senza fissarne gli obiettivi e ignorando chi avrebbe potuto prendere il posto di Gheddafi una volta che questi fosse stato deposto. Dopo sei giorni di missili, i fatti ci danno ragione. Non solo si registrano le prime titubanze americane, ma anche gli inglesi cominciano a esitare e ad ammettere la fase di stallo in cui è precipitato lo scontro: cioè che non si sa come piegare le truppe del raìs né come costringerle alla resa. Nonostante le centinaia di missili sparati contro Tripoli e le altre città libiche, nonostante gli aerei del beduino siano stati distrutti o impossibilitati ad alzarsi in volo, gli insorti rimangono sotto assedio e non hanno la forza di contrattaccare e rovesciare il regime. Ciò dimostra principalmente che la grandeur  ha giocato un brutto scherzo al presidente francese, perché lo ha spinto a sottovalutare il nemico, il quale, seppur ferito, si rivela un leone ancora in grado di tirare qualche zampata e di azzannare alla gola chiunque gli vada troppo vicino. Sarkò rischia insomma d’averci fatto finire in un vicolo cieco, dal quale è difficile uscire limitando i danni. Un conflitto lungo e sanguinoso a sessanta miglia dall’Italia infatti non è una minaccia solo per noi, ma per l’intera Europa, soprattutto se questa ha scatenato e foraggiato lo scontro. Già, perché da quel che si capisce, i ribelli non sono spuntati a un tratto soltanto per il desiderio di affrancarsi dal capo tribù tripolitano, ma sono stati incitati a prendere le armi contro Gheddafi proprio dalla stessa Francia, la quale ha avuto un ruolo determinante nelle recenti vicende. Ieri il nostro Franco Bechis ha rivelato l’esistenza di  contatti tra Parigi e gli insorti, alzando il velo su una missione lungamente studiata, che mirava a fomentare la rivolta contro il raìs. Certamente non un’operazione di beneficenza, giacché la Francia tenta inutilmente da tempo di concludere con la Libia un affare da 10 miliardi di euro in aerei e sistemi elettronici. Ma a queste notizie, già da sole in grado di gettare un’ombra inquietante su Odissea all’alba, ora se ne aggiunge un’altra, raccontata pochi giorni fa dal Chanard Enchaîné, cioè dal giornale satirico che pizzicò l’ex presidente Giscard d’Estaing con in mano i gioielli regalati da Bokassa, il sanguinario dittatore centrafricano. Secondo il settimanale francese, nei giorni immediatamente successivi alla rivolta di Bengasi, il controspionaggio d’Oltralpe avrebbe rifornito gli insorti di cannoni da 105 mm e di batterie antiaeree. Le armi sarebbero arrivate nascoste tra gli aiuti umanitari inviati dalla Francia, la quale si sarebbe premurata di  assistere i ribelli insegnando loro anche come usare l’artiglieria. In pratica, Sarkozy non si è limitato a incitare l’opposizione a Gheddafi a ribellarsi, ma l’ha pure armata e addestrata. E, dopo aver scatenato una guerra civile o per lo meno averla sollecitata tramite i suoi agenti, il De Gaulle da taschino ha scatenato l’inferno sulla Libia, confidando in una rapida capitolazione del raìs. Che invece non c’è stata e non si sa se ci sarà, così la guerra ha preso una brutta piega e nessuno sa bene come andrà a finire. Avendo Sarkozy sbagliato tutti i calcoli, gli scenari che si aprono non sono tranquillizzanti. O l’Europa si imbarca in una guerra vera, cioè non da videogioco dove basta premere un pulsante per distruggere la postazione dell’avversario, e dunque con un intervento terrestre, oppure il beduino rischia di risorgere dalle macerie.  In tal caso nella migliore delle ipotesi si andrebbe verso una Libia spartita in due: ad est la Cirenaica libera (ovvero una specie di protettorato francese), a ovest la Tripolitania in mano a Gheddafi. Nel peggiore, ci ritroveremmo al punto di prima, ossia con il puzzone di nuovo alla guida dell’intero Paese, ma più arrabbiato e più vendicativo.  Ovviamente resta sempre l’ipotesi estrema, cioè quella di farlo secco, con un missile o un sicario ben remunerato. Ma visto come sono andate le cose, se l’incarico lo si affida al consorte di Carla Bruni si rischia che sbagli mira. Insomma, siamo messi male. E tutto perché l’anno prossimo in Francia si vota. Speriamo almeno che le elezioni le vinca Marine Le Pen, sennò chi lo tiene per altri cinque anni Sarkozy?