L'editoriale
Ancora riecheggiano gli urrà dei festeggiamenti per il 150° compleanno dell’Unità d’Italia, e già dobbiamo occuparci dei nostri problemi. Roba seria. L’ultimo in ordine di tempo è l’acuirsi della crisi libica, fino a ieri sottovalutato. Si pensava che Gheddafi, sotto l’incalzare dei ribelli - sempre più baldanzosi - fosse giunto al capolinea. Spacciato. Si aspettava soltanto di apprendere la notizia della sua impiccagione. Nel nostro unitissimo Paese erano scattate le scommesse sulla data dell’esecuzione capitale. Poi, trascorsi alcuni giorni, si è cominciato a dubitare: stai a vedere che il rais è come Berlusconi; si dice sempre che è finito, ma non finisce mai. Il dubbio a un certo punto è diventato una certezza: Gheddafi resiste, reagisce, si tiene Tripoli e la Tripolitania, addirittura avanza verso la Cirenaica, cribbio è alle porte di Bengasi. Inspiegabile? Un corno. Non si era tenuto conto di un particolare: il Colonnello è pieno di soldi e si può permettere di pagare tutti i mercenari necessari non solo a salvargli la vita, ma anche a riconquistare le posizioni perdute. La ricchezza inoltre, se bene investita, rende simpatici, perfino benvoluti. Così si comprende perché il signor dittatore è ancora lì a menare il torrone, pronto a riprendersi la Libia intera fra gli applausi dei fedelissimi ben remunerati. Basterebbe questo per chiudere il discorso, se non fosse che l’Occidente (Usa, Francia, Inghilterra eccetera) non ci sta ad assistere in silenzio e nell’inerzia al ritorno i auge di Gheddafi. Gli prudono le mani e desidera sfogarsi. Il pretesto per dare una lezione al despota è il fatto che questi ha usato e usa la forza bruta per spegnere gli ardori rivoluzionari dei suoi oppositori. Si obietterà: è una pratica diffusa. Vero. Ma qualche volta è tollerata, altre no. In questa circostanza non è tollerata perché Gheddafi da quarant’anni disturba in vari modi l’Europa e gli Stati Uniti, mostrandosi insensibile ad ogni richiamo alla calma e al rispetto degli ordini superiori. Pertanto, avendo egli superato il limite, ora va punito con un bell’intervento militare della Nato. Tra poco decolleranno gli aerei e sarà quel che sarà. Mi domando dove avverranno i bombardamenti e chi sarà colpito. Non sarà facile per i caccia distinguere l’obiettivo, che dovrebbero essere le truppe del rais. Ma se le truppe del rais combattono contro i ribelli, mescolandosi ad essi secondo i canoni della guerra civile, il rischio di compiere una strage sarà molto alto. Infatti qui non esiste un fronte, e quando si spara nel mucchio si fa una strage che non rende giustizia a nessuno e fa torno a tutti. Non sono un esperto di strategia militare, quindi posso sbagliare, ma l’esperienza mi induce a sospettare che la Nato con la licenza di uccidere i cattivi a difesa dei buoni, farà secchi gli uni e gli altri, e sarà un’ecatombe. Mi auguro di essere in errore e di dovermi ricredere. In attesa di una verifica, qualcuno ci dovrebbe dire chi siano i cattivi e chi siano i buoni. Non mi risulta infatti che i ribelli siano più democratici dei gheddafiani e che mirino a istituire un regime migliore di quello che ambiscono ad abbattere. In base a quale criterio di valutazione ci siamo schierati con i rivoltosi? Se costoro fossero - come temo - dei fondamentalisti islamici, si darebbe il caso che appoggiamo la fazione più pericolosa per l’Occidente. Non che il tiranno in sella sia una garanzia di equilibrio, però almeno ne conosciamo i difetti e le potenzialità criminali e siamo in grado di controllarlo con una certa efficacia. Viceversa i prossimi padroni del vapore costituiscono un’incognita: angeli o diavoli? Amici degni di aiuto o seguaci affettuosi di Bin Laden? In sostanza, siamo sicuri che portando soccorso agli insurrezionisti non cadremo dalla padella nella brace? Va da sé che il governo italiano dovesse uscire dall’ambiguità e scegliere da che parte stare: con o contro Gheddafi. La neutralità è un lusso che non poteva consentirsi. Ha scelto la seconda opzione, aggregandosi a Francia e Inghilterra e Usa e voltando le spalle al rais, con cui da anni (specialmente negli ultimi) è in affari e ha allacciato rapporti di intensa collaborazione. Probabilmente Berlusconi ha ceduto alle pressioni di Napolitano e della sinistra, accantonando obtorto collo la sua storia personale col dittatore. Comprendo le ragioni della realpolitik. Ma serve considerare un particolare: la Merkel non si è lasciata incantare da alcuno e si è astenuta dal dare la propria benedizione alle operazioni in Libia. Perché? Forse avrà fatto le stesse riflessioni contenute nel presente articolo. In altri termini, se il premier si fosse rifiutato di dare addosso all’ex alleato (e socio?), si sarebbe trovato in buona compagnia, dato che la Germania è il Paese più forte dell’Ue. Non è questa la circostanza propizia per criticare il Cavaliere, e ce ne guardiamo. È tuttavia opportuno rammentare che in Italia non si sentiva l’esigenza di aggiungere una puntina di guerra ai tanti guai incombenti sulle nostre teste. Ne avremmo fatto volentieri a meno, poiché il Colonnello è un vicino di casa, e qualora si sentisse minacciato o, peggio, fosse aggredito (col nostro consenso) sarebbe tentato di vendicarsi lanciando missili non su Parigi o Londra, ma (ad esempio) su Lampedusa. Nell’eventualità, Berlusconi non se la caverebbe con un vivace dibattito parlamentare. Al contrario, sarebbe indicato all’opinione pubblica quale unico responsabile e gli sarebbe chiesto, come minimo, di dimettersi all’istante con l’accusa di aver prima stretto amicizia con il tiranno libici, poi di averlo attaccato, quando invece avrebbe potuto seguire in pace la Germania. C’è inoltre un grande interrogativo meritevole di risposta. Perché fra tutti i Paesi in subbuglio, sconvolti da guerre fratricide, impegnati in lotte furibonde contro tiranni e tirannelli d’ogni specie, si è deciso di spedire soldati soltanto in Libia? In Egitto non c’è stata forse la cacciata a furor di popolo di Mubarak? E in Tunisia? Lo Yemen è sull’orlo del baratro: giusto ieri, 41 morti ammazzati fra i manifestanti anti-regime. Nel Bahrain 7 vittime mercoledì scorso. La Birmania e sottosopra. In Sudan continuano i massacri. Della Somalia non si parla neanche più, ed è una immensa tomba a cielo aperto. Dovunque il dito si fermi sulla carta geografica dell’Africa è in atto un conflitto. Ma solamente in Libia andiamo a sparare per tenere bordone ai nemici di Gheddafi. Perché? Se ci sono interessi nascosti, ditecelo. E diteci anche per quale misterioso motivo la sinistra, dopo aver scoperto la Patria con riprovevole ritardo, è diventata anche bellicista e, mentre scendere in piazza a supporto di Saddam Hussein, oggi marcia impettita, e con i fucili spianati, sulla Cirenaica.