L'editoriale
DI GIAMPAOLO PANSA - Il martedì 15 febbraio 2011, giorno fatale del rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi, si aprì con un’invettiva della Jena, il satirico telegrafico della Stampa. Sotto il titolo “Speranze”, ringhiava: «Mezza Italia, un solo grido: Gip, Gip Hurrà!». Poi arrivò la solita mazzata della Famiglia Cristiana: «Viene subito in mente la nemesi. Tu, Berlusconi, ti sei servito delle donne e in malo modo. Le stesse donne faranno giustizia». Per tutto il pomeriggio del martedì, il Cavaliere venne sbeffeggiato da un’infinità di media. E fu messo al muro da migliaia di messaggi via internet. La sera andò anche peggio. A “Ballarò”, Rete 3 della Rai, il comico Crozza lo irrise come un vecchio puttaniere. Sempre lì a chiedere: «Quanto?», ossia il costo della prestazione sessuale. Quindi il Caimano venne evocato anche al Festival della canzone italiana a Sanremo. Nel frattempo, comparivano sui muri di Roma i manifesti affissi dai tifosi di Nichi Vendola. Accanto alle facce di Mubarak e Berlusconi, la scritta incitava: “Contro i rais, rivolta!”- È dunque iniziata bene la lunga vigilia dell’imputato Berlusconi. E immagino che continuerà così sino al 6 aprile. Per un mese e mezzo, a meno di sorprese di cui oggi non c’è sentore, vedremo proseguire con accanimento la campagna politica e mediatica che già conosciamo. Tutti i mezzi verranno usati per condannare l’imputato in anticipo rispetto alla sentenza del tribunale di Milano. Sarà una guerra nauseante che obbliga a una domanda. La domanda ha un premessa che mi riguarda. I lettori di Libero sanno già come la penso sul conto di Berlusconi. Ho scritto più volte che il premier ha sbagliato di grosso con il bunga bunga durante festini di Arcore. A cominciare dal rapporto con Ruby Rubacuori e dall’errore imperdonabile della telefonata alla questura per cavarla dai guai. Ha messo la propria testa sotto la mannaia della Procura di Milano. Quei piemme glie l’hanno tagliata a metà. E adesso resta da vedere se l’altra metà gli verrà mozzata del tutto dalle tre magistrate che dovranno processarlo. Non ho dubbi, e non devo averne, che il collegio scelto dal computer, come si afferma, sia il più imparziale del mondo. E che dimostrerà di esserlo nel corso del giudizio e, infine, nella sentenza. Tuttavia, nessun giudice è un robot, costruito per muoversi soltanto sulla base del codice e delle prove raccolte. Nessun magistrato vive dentro una bolla d’aria a tenuta stagna. Né al centro di un deserto, in un’oasi di neutralità. Dove non arrivano giornali né si captano trasmissioni televisive e radiofoniche. Guerriglia in corso I magistrati sono gente uguale a noi. Vivono nel loro tempo e sono alle prese con le stesse suggestioni che bombardano l’italiano qualunque. Quelle a proposito del Cavaliere sono suggestioni molto speciali. Nel corso degli anni, ho assistito a tanti processi e qualcuno l’ho subito come imputato. Però non ho mai visto nessun giudizio accompagnato, sostenuto, incoraggiato e preteso da un apparato impressionante come accade a quello che riguarda Berlusconi. Non ho mai votato per il Cavaliere e per il suo centro-destra. E non ho neppure avuto la tentazione di farlo. Ma adesso, se mai si andrà a votare, sarei propenso a diventare un suo elettore. Per ribellarmi alla nauseante guerriglia faziosa che costringe anche me a dire basta! La guerriglia ha già ottenuto un risultato, con il rinvio a giudizio del Caimano. Adesso vogliamo almeno far tacere le armi e lasciare che il processo si svolga in un clima meno rovente di quello odierno? Per fare in modo che sia un processo all’insegna dell’equità? Equità è una parola facile da scrivere. Ma indica un traguardo non sempre facile da raggiungere. Per questo non invidio le tre magistrate di Milano. Se hanno in tasca una sentenza di condanna già scritta, il discorso possiamo chiuderlo qua. Il presidente del Consiglio non dovrà aspettare il mese di aprile perché il pesce che lo inghiottirà è già pronto, con i denti affilati per straziarlo. Se invece la condanna non è ancora decisa, le tre signore in toga sono attese dalla prova più difficile della loro carriera giudiziaria. Anzi, oserei dire della loro vita. Non sarà facile sottrarsi alla bufera che imperversa da mesi. E non ascoltare le urla che salgono dalla piazza, dai partiti, dai giornali, dalla tivù e arrivano nelle loro stanze. È uno strepito inferiore soltanto al rombo dei cannoni. Che diventerà sempre più feroce di giorno in giorno, sino al mercoledì 6 aprile. A quel punto, dovremo assistere a uno spettacolo assurdo. Quello di un processo celebrato in un’arena dove un pubblico barbaro mostra il pollice verso nei confronti di un cristiano già destinato ai leoni. Ma allora ecco un’altra domanda. Che cosa può fare l’imputato Berlusconi per evitare che questa falsa giustizia lo colpisca? Ma al tempo stesso ferisca pure quel poco di fiducia nei magistrati che rimane in una parte dei cittadini italiani? Un consiglio Un vecchio detto popolare recita: non bisogna mai insegnare ai gatti come ci si arrampica sui muri. L’ho imparato molto tempo fa. Per questo evito sempre di offrire consigli ai politici. E meno che mai di suggerire alcunché a un leader alle prese con un tribunale. Correndo il pericolo di una condanna pesante. Accompagnata dall’interdizione ai pubblici uffici che può essere perpetua. Tuttavia, la tragedia di Berlusconi ci riguarda tutti. Lui non è soltanto il presidente del Consiglio, è anche il leader di uno schieramento votato da milioni di elettori. Dunque, a questi tantissimi italiani il premier deve un rispetto quasi sacro. È un debito che non può ignorare. E ha solo modo per onorarlo. Dimettersi dall’incarico e cercare una nuova fiducia attraverso il ricorso anticipato alle urne. Certo, il rischio connesso è molto alto. Ma tanto nel caso di una vittoria che di una sconfitta, Berlusconi potrà andare incontro ai suoi giudici con la testa alta. E pretendere di avere un processo equo. Ecco, ho commesso l’errore che cerco sempre di evitare. Ho dato un consiglio a un signore testardo come nessuno. Ma poiché sono sicuro che non lo seguirà, chiedo scusa ai lettori. Dicendo: vi ho fatto perdere del tempo, fate conto che non abbia aperto bocca.