L'editoriale
«Siamo sull’orlo di un conflitto civile tra istituzioni, corpi e ordini dello Stato» ammoniva ieri Sergio Romano dalla prima pagina del Corriere, specificando poi che l’Italia è ormai spaccata tra due fazioni contrapposte: berlusconiani e antiberlusconiani. Niente di nuovo si potrebbe dire, senonché per l’editorialista del primo giornale italiano la responsabilità manco a dirlo è del presidente del Consiglio, il quale dovrebbe evitare di passare alla storia come l’uomo che ha trasformato un Paese armonioso in uno rissoso. Romano non lo dice, ma lo fa capire: per schivare il rischio Silvio farebbe bene a compiere un passo indietro, entrando negli annali come il primo premier cacciato a furor di gossip e rassegnandosi all’idea che pm e investigatori frughino fra le sue lenzuola e intercettino le sue presunte amanti. Invece di indignarsi per una magistratura guardona specializzata in «indagini frivole», che fornisce «storie salaci e licenziose a tutta la stampa occidentale», rendendo l’Italia «il giullare d’Europa», definizioni sue, Romano se la prende con la vittima. La quale si agita, protesta la propria innocenza e denuncia l’aggressione di cui è oggetto, invece di stare ferma e silente come piacerebbe all’ex ambasciatore, così da «restituire fiducia e credito internazionale al Paese». Strana tesi, ma non è la sola. Di sorprendente c’è molto altro, a cominciare dal comportamento di colui che ogni giorno ci ricorda di essere il supremo arbitro della nostra Repubblica. Non passa giorno che Giorgio Napolitano non ci faccia conoscere il suo pensiero su qualsiasi materia, anche la meno influente. Dalle separazioni coniugali alla visione politica di Robert Kennedy, dai rapporti con la Cina al futuro del movimento cooperativo. Per dirla alla maniera di Sergio Romano, siamo sull’orlo di un conflitto tra istituzioni, corpi e ordini dello Stato e il presidente che fa? Parla d’altro. C’è una guerra endemica che minaccia di travolgere tutto, compreso ciò che resta dell’Italia e anziché preoccuparsi di salvare la nazione, l’inquilino del Colle festeggia i 150 anni dell’Italia. Imperturbabile, come se nulla fosse e tutto potesse proseguire ugualmente anche se due istituzioni se le stanno suonando di santa ragione. Tranne qualche discorso di circostanza, qualche invito alla coesione, qualche timido richiamo al Csm accompagnato però da lodi all’Anm, Napolitano tace e lascia che un ordine dello Stato combatta un potere del medesimo Stato senza dire una parola. Se c’è da ricevere una delegazione che protesta contro la sacrosanta riforma dell’Università voluta dal governo, il Quirinale spalanca le porte e suona pure la campanella. Se invece c’è da dare accoglienza alle lamentele di un presidente del Consiglio che da 17 anni si vede impedito nell’esercizio delle sue funzioni da decine di indagini della magistratura, allora il portone resta chiuso a doppia mandata. Si dirà che il capo dello Stato non ha poteri effettivi, ma è solo garante delle istituzioni. Vero. Ma il garante di solito vigila affinché una delle parti in gioco non prevalga sulle altre: qui una delle due è già arrivata con gli scarponi chiodati nella camera da letto dell’altra e ora si appresta a concludere l’opera. Napolitano non ha strumenti? Falso. Può mandare messaggi al Parlamento segnalando ciò che non va e sollecitando iniziative legislative o interventi. Gli costerebbe molto dire che, se la politica deve stare al suo posto e non attaccare i giudici, altrettanto - e prima - dovrebbero fare le toghe? Sarebbe faticoso sollecitare gli onorevoli a porre fine alla gogna delle intercettazioni che - parole di Luciano Violante - ci fanno tanto somigliare a un Paese sudamericano? Sarebbe un peso eccessivo per il nostro beneamato presidente dire che il capo del governo non si sputtana a mezzo stampa al solo fine di levarlo di torno? Per evitare ciò che Romano definisce un conflitto civile tra le istituzioni, in fondo servirebbe il richiamo dell’unica istituzione che sta sopra le altre, la quale non deve traccheggiare, ma impegnarsi per evitare il degenerare dello scontro. Non ci riesce perché la magistratura non sente ragioni e Berlusconi non si decide a cadere? Beh, allora faccia una cosa semplice: chieda alle Camere di approvare in tutta fretta il ripristino dell’articolo 68, quello che garantisce l’immunità ai parlamentari. I padri costituenti lo inserirono nella Carta per difendere i rappresentanti del popolo dall’invadenza delle Procure e i pubblici ministeri l’hanno fatto levare per decidere loro chi deve governare. L’abolizione di quella tutela ci ha regalato quasi vent’anni di guerre, forse è ora di finirla. Magari l’articolo 68 farà schifo a un po’ di dipietristi e a qualche piddino, ma di sicuro non farà schifo a Di Pietro e a D’Alema che se ne avvalsero al Parlamento europeo. Così come non farà inorridire lo stesso Napolitano, che quand’era a Bruxelles lo votò per alcuni augusti colleghi. Anche senza avere i poteri di un Sarkozy, il nostro capo dello Stato, se vuole, al posto delle carezze che dispensa (l’ultima ieri), alle toghe può dare una bacchettata. Non serve molto. Basta un po’ di coraggio.