L'editoriale

Andrea Tempestini

E poi dicono che la giustizia non è rapida: è bastato che il ministro Frattini si azzardasse a parlare della casa di Montecarlo e subito la Procura gli ha presentato il conto, sotto forma di un bell’avviso di garanzia. Atto dovuto dicono, ma non si capisce perché le notifiche giudiziarie siano obbligatorie solo se c’è di mezzo un esponente del centrodestra. Al presidente della Camera, essendo da tempo  traslocato all’opposizione, nessuno ha sentito il bisogno di inviare «atti dovuti»  nonostante vi fosse una denuncia per truffa aggravata. Evidentemente la svendita dell’appartamento monegasco per i  tribunali è un reato minore anche se è prevista una detenzione da uno a sei anni, mentre l’abuso d’ufficio - questa l’accusa ipotizzata a carico del ministro degli esteri - è  da pronto intervento, al fine di evitare pericoli di fuga del sospettato. Visto l’andazzo immagino il dispiegamento di mezzi allo scopo di accertare le violazioni commesse da Frattini e suppongo che presto vi sarà la richiesta di rito immediato, come è accaduto al premier. Nel frattempo spero  qualcuno si ricordi che è ancora sospesa la domanda di archiviazione a carico di Gianfranco Fini. Nonostante il totale riserbo con cui si sono mossi i pm, il boss di Futuro e Libertà resta un indagato in attesa di giudizio. Che poi probabilmente sarà di archiviazione, dato che per i pubblici ministeri neppure le carte  attestanti nero su bianco la proprietà dell’appartamento da parte del cognato del cofondatore sono sufficienti a provare l’inguacchio. A dimostrazione insomma che la fortuna sarà cieca, ma la giustizia ci vede benissimo e non sbaglia un colpo, soprattutto se nel mirino c’è un esponente del PdL. E a proposito di bersagli, la caccia al Cavaliere è l’unica specialità che non conosce il fermo venatorio.  «Ecco i bonifici delle notti Arcore» titolava ieri a tutta pagina la Repubblica. Vista l’enfasi, ne ho dedotto che i colleghi del quotidiano diretto da Ezio Mauro dovevano aver creduto di avere in mano la pistola fumante per far secco il Cavaliere. In realtà stringevano solo un pistolino: i mandati di pagamento infatti dimostrano il contrario di ciò che si vorrebbe provassero. Ossia che nelle notti di Villa San Martino ci sarà anche qualche momento peccaminoso, ma di sicuro nulla di illegale. Avesse qualcosa da nascondere Berlusconi non avrebbe lasciato le sue impronte digitali in banca, con un ordine cui si può risalire anche a distanza di anni. Di Silvio si può dire tutto, che corra dietro a ogni sottana soprattutto se questa serve più a lasciar vedere che a coprire, ma di certo non che sia fesso. E poi, capisco che il Cavaliere abbia il problema di come spendere i soldi accumulati nel corso della sua lunga carriera, ma 160 mila euro sono tanti anche per un riccone del suo stampo. Se poi li si giustifica con  tre o quattro acrobazie erotiche, si tratta di fortuna che non ha corrispettivo con i prezzi di mercato. Ma poi, scusate, quale escort (ammesso e non concesso che le habitué di  Arcore fossero escort) si fa pagare con un prestito infruttifero e con tanto di contratto? La verità banale è che la storia della prostituzione, minorile o no, è semplicemente un pretesto. Ai pm non importa nulla di quel che facevano le ragazze nella villa di Berlusconi, gli preme solo di incastrare il suddetto.  Ilda Boccassini sa benissimo che con la mignottocrazia non va da nessuna parte e neppure con la concussione, perché non s’è mai visto un concussore senza che vi sia il concusso. Ma se riesce a dimostrare che Silvio ha dato soldi a Ruby in cambio del suo silenzio, il gioco è fatto. In questo modo si potrà accusare il premier di essersi comportato con la ragazza come si comportò con Mills: ossia di aver pagato per farla franca.  Certo, non s’è mai visto neppure uno che versa migliaia o milioni di euro per nascondere un reato indimostrato e indimostrabile, ma questo è un ragionamento troppo raffinato. Così come raffinati sono i sospetti  dei pm su Niccolò Ghedini. L’avvocato di Berlusconi, svolgendo le indagini difensive,  in questa faccenda ha ricoperto il ruolo di pubblico ufficiale, così come prevede la legge. Ma se risultasse che ha raccolto consapevolmente testimonianze addomesticate sarebbe passibile non solo  di procedimento disciplinare dell’Ordine, ma anche di condanna. Tanto per non lasciar nulla di intentato, i pubblici ministeri sono al lavoro pure per dimostrare che quanto avveniva ad Arcore succedeva anche a Palazzo Grazioli. E per provarlo avrebbero già pronte nuove intercettazioni, testimonianze e insinuazioni. Insomma, nella guerra della gnocca la Procura di Milano non risparmia colpi. Tutti rigorosamente sotto la cintura del Cavaliere.