L'editoriale
Se Silvio Berlusconi dovesse denunciare tutti quelli che cospirano contro di lui, i tribunali sarebbero intasati e finirebbero per occuparsi solo del Cavaliere e dei suoi guai. Non che già non lo facciano di loro iniziativa, ma in genere è per incastrarlo, mai per prenderne le difese. Ciò detto, mi ha colpito l’atto presentato lunedì dai legali del presidente della Camera. Gli avvocati si sono rivolti alla Procura di Roma perché individui i responsabili di un complotto ai danni di Fini e come per ogni complotto che si rispetti la denuncia è stata secretata, senza lasciarne trapelare i contenuti, se non la richiesta ai magistrati di accertare i colpevoli di una cospirazione contro gli organi dello Stato. L’accusa ipotizzerebbe l’esistenza di una specie di golpe contro il leader di Fli. Naturalmente staremo a vedere su quali elementi si basa l’atto, a me però ricorda tanto un episodio di molti anni fa, quando un altro presidente, quella volta però della Repubblica, alzò la voce, pronunciando un «io non ci sto», ottenendo che i pm di Roma soffocassero sul nascere le accuse a lui rivolte da un pugno di agenti del Sisde, i quali sostenevano che Scalfaro, da ministro dell’Interno, avesse intascato buste mensili di svariate decine di milioni. In quell’occasione, per tappare la bocca agli 007 che puntavano il dito contro il Campanaro, le toghe rispolverarono l’articolo 289 del codice penale, ovvero l’attentato agli organi costituzionali, «norma dalla formulazione altisonante, ma sufficientemente indeterminata nelle condotte da poter essere utilizzata in situazioni dal profilo non precisamente determinato», come la definì Francesco Misiani, uno dei magistrati di sinistra titolari dell’inchiesta. Ai funzionari del Servizi fu paventata una reclusione non inferiore a dieci anni se avessero insistito ad accusare Scalfaro, ipotizzando che le loro deposizioni fossero parte di un’operazione diretta «a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente, le attribuzioni e le prerogative costituzionali del presidente della Repubblica». La mossa ottenne l’effetto desiderato, perché, come ricostruì Misiani, la contestazione dell’articolo 289 mise gli indagati in una situazione senza via d’uscita. «Ogni ulteriore chiamata in correità nei confronti di uomini politici in carica o, comunque, con responsabilità istituzionali li avrebbe precipitati nella condizione di indagati di un reato gravissimo, da cui sarebbero usciti con condanne pesantissime». La toga rossa, cioè Misiani, sapeva benissimo che questa era un’assurdità e i cinque del Sisde non stavano affatto progettando un golpe. E infatti si oppose al suo capo, Michele Coiro, sostenendo che la decisione era artificiosa e teneva a stento sotto il profilo giuridico. Ma il procuratore aggiunto tirò diritto, ottenendo lo scopo di imbavagliare gli 007, di salvare il presidente della Repubblica e di mettere una pietra sopra tutta l’oscura faccenda. Se ho raccontato una storia non recentissima è perché la mossa di Fini mi ricorda un po’ quella che riguardò Scalfaro. Era infatti da 18 anni che non sentivo evocare l’articolo 289 e la cosa mi ha sorpreso. Intendiamoci: non mi stupisce affatto che il presidente della Camera intenda perseguire una signora che racconta di esserci andata a letto a pagamento. Anzi. Sono stato io, il 28 di dicembre, a rivelare l’esistenza di una donna che raccontava strane storie a luci rosse a proposito del presidente della Camera e sempre io a ipotizzare che potesse trattarsi di una mitomane o una ricattatrice. Mi stupisce semmai che invece di ringraziarmi per averlo messo sull’avviso (a quanto pare Fini sarebbe in seguito stato oggetto anche di un tentativo di estorsione), la terza carica dello Stato metta di mezzo Libero citandoci in giudizio. Ma non è questo il punto. La questione semmai è perché il fondatore di Futuro e Libertà evochi complotti. Se c’è una escort che lo diffama, la denunci. Se qualcuno gli ha chiesto soldi in cambio di una foto, vada dai carabinieri. Ma che c’entra l’attentato agli organi costituzionali? Insomma, non vorremmo che approfittando del polverone, Fini volesse ottenere altro, magari un bel bavaglio a Libero o ad altri organi di stampa, coinvolgendoli in strani disegni. Il nostro naturalmente è un sospetto, ma, come dice Andreotti, a sospettare qualche volta ci si azzecca.