L'editoriale
Non capisco perché il sindaco di Roma si stupisca per la scarcerazione dei bravi ragazzi che hanno distrutto il centro di Roma. Ma davvero Gianni Alemanno credeva che i fermati sarebbero stati puniti in maniera esemplare? Povero illuso: il G8 di Genova evidentemente non gli ha insegnato nulla. Vi ricordate cosa accadde nel 2001, durante il vertice internazionale? Un branco di qualche centinaia di teppisti mise a ferro e fuoco la città. La polizia reagì arrestandone un certo numero e nel parapiglia dei fermi ci scappò qualche manganellata. Risultato: i giovanotti sono stati quasi tutti rilasciati con le scuse, gli agenti sono finiti nei guai, accusati d’aver seviziato i manifestanti al pari dei militari cileni. E stavolta finirà allo stesso modo. Del resto ci vuole poco a capirlo. L’aria che tira è la stessa di sempre. Le colpe non sono di chi ha spaccato le vetrine, ribaltato gli automezzi, incendiato i blindati. La responsabilità è delle forze dell’ordine. Perché non hanno fermato i teppisti? Come mai si sono lasciate sorprendere dalla violenza? Possibile che alcuni agenti siano stati assaliti senza reagire? Il colmo lo si è avuto quando il Pd, per bocca di un importante suo esponente, ha insinuato il sospetto che gli scontri fossero stati innescati da alcuni poliziotti infiltrati. La senatrice Anna Finocchiaro, parlamentare di lungo corso che vanta anche un’esperienza tra le fila della magistratura, dovrebbe sapere che questo fu l’errore che accompagnò il Pci durante gli anni di piombo. Invece di capire subito che i teppisti e i terroristi erano figli suoi, costole della sinistra più estrema, il partitone rosso sospettò per parecchio che si trattasse di agenti provocatori, infiltrati dei servizi segreti che lavoravano per il caos, contro la sinistra e il sindacato. Della cantonata, alimentata a lungo dai giornali cari al Bottegone, il Pci si avvide tardi, solo quando i terroristi iniziarono a uccidere anche alcuni dei suoi. Solo allora capirono che il teppismo è parente stretto del terrorismo, ma ormai era troppo tardi. Che la polizia italiana non fosse sudamericana e non provocasse gli scontri o altro provò a spiegarlo Pierpaolo Pasolini, il quale si schierò a favore degli agenti e contro i bravi studenti che tiravano bottiglie incendiarie. Lo scrittore dei Ragazzi di vita difese con un articolo i giovani in divisa che per pochi soldi andavano a prender botte e a essere insultati. Ma fu il solo e per questo gli intellettuali più ortodossi e più ligi alla dottrina comunista lo guardarono storto, isolandolo. Rispetto a quarant’anni fa dunque è cambiato nulla. I poliziotti continuano a prendere poco, circa 1200 euro al mese, e se va bene vengono colpiti da pietre e bastonate, se va male dalle molotov. Anche la sinistra non è mutata affatto. Invece di capire che i teppisti vengono dalle fila di chi sale sui tetti dell’Università, dagli stabili occupati, dai centri sociali e dalle frange estreme del sindacato, nel Pd e nelle redazioni dei suoi giornali si continua a pensare che gli incidenti li provochino a bella posta i reparti mobili, se non, addirittura, gli agenti sotto copertura, i quali, anziché cercare di individuare i più violenti mascherandosi come loro, sarebbero essi stessi teppisti. Con la teoria del doppio stato, cioè di un apparato parallelo che lavora contro quello democratico, organizzando complotti, attentati e scontri di piazza, il Pci e suoi intellettuali hanno campato a lungo. Nei giornali c’è addirittura chi vi ha costruito brillanti carriere. Fa nulla se tutto ciò è andato a scapito della realtà e ha impedito di capire per tempo ciò che stava accadendo. Ora, con le dovute proporzioni, la storia si ripete, come allora con il contributo fondamentale di una parte della magistratura. Per cui, caro Alemanno, non si stupisca e si rassegni. I venti milioni di danni non glieli ripagherà nessuno. Anzi: le è andata pure bene, che non hanno sospettato che a organizzare gli scontri sia stato lei, per fare il piangina e chiedere più soldi per Roma Capitale.