L'editoriale

Andrea Tempestini

Da quando si è messo in testa di fare le scarpe a Berlusconi, Gianfranco Fini ripete con insistenza che lui vuole fare una destra moderna ed europea. Ma che cosa sia questa destra moderna e europea finora nessuno lo sa, né il presidente della Camera ha fatto qualcosa per spiegarlo, limitandosi a recitare nei suoi interventi alcune  banali considerazioni su giovani, istruzione, ricerca e poco altro. Chi volesse essere illuminato sulle intenzioni dell’ex leader di An, non ha dunque altro modo che attenersi alle prime mosse del nuovo partito di Fini, depurate ovviamente dalle polemiche a uso propagandistico e concentrandosi sulla sostanza. E in fatto di cose concrete, senza dubbio, l’atteggiamento sulla riforma dell’Università è quanto di più rilevante ci sia per giudicare cos’è e cosa intenda Futuro e Libertà quando parla di nuova stagione del liberalismo e del moderatismo italiano. Innanzitutto, poche parole per spiegare il disegno di legge Gelmini. Le norme,  in pratica, introducono sei novità. La prima è che i rettori non saranno a vita, ma potranno rimanere in carica per un massimo di sei anni. La seconda riguarda i professori, che andranno in pensione prima e per ottenere l’incarico dovranno avere un’abilitazione scientifica nazionale, la cui durata sarà di quattro anni. La terza applica il principio della valutazione anche ai ricercatori, i quali dovranno superare un esame di idoneità per essere confermati. La quarta introduce criteri per rendere più trasparente la gestione contabile degli atenei. La quinta consente invece di sfoltire un po’ di facoltà, evitando che vi siano doppioni o vengano aperte là dove non vi sono studenti ma solo clientele. La sesta, infine, crea un fondo «finalizzato a promuovere l’eccellenza e il merito tra gli studenti mediante prove nazionali standard». I commenti alla legge, da parte di chi se ne intende e non partecipa a camarille, non sono stati men che positivi. Ne cito due, uno di Angelo Panebianco, l’altro di Francesco Giavazzi. Il primo qualche tempo fa sul Corriere della Sera scrisse che la riforma Gelmini era «un tentativo ambizioso di ridare slancio all’istruzione superiore», aggiungendo che chi la rifiuta in blocco «lo fa per faziosità ideologica oppure perché appartiene ai settori più conservatori del mondo universitario». Il secondo, sempre sul Corriere, scrisse invece che le nuove disposizioni, pur essendo lungi dall’essere una legge ideale, sono «un passo avanti, soprattutto nelle nuove modalità di reclutamento», riconoscendo al ministro di aver «fatto saltare migliaia di concorsi, sui cui risultati le baronie accademiche si erano accordate prima ancora che le commissioni giudicatrici si riunissero».  Sarà forse il caso di dire che Panebianco e Giavazzi sono entrambi docenti universitari, l’uno un po’ più liberale, l’altro un po’ più liberal, ma entrambi sono assai critici con Berlusconi e nessuno dei due risulta far parte dell’ufficio stampa del governo. Nonostante questo, nonostante cioè la riforma introduca trasparenza ed efficienza nel mondo dell’Università, tagliando le unghie ai baroni e inserendo criteri di merito, e dunque traduca in pratica qualcosa di destra, di quella destra moderna ed europea a cui il presidente della Camera fa continuo riferimento, Futuro e Libertà su di essa ha tenuto un atteggiamento ambiguo. Prima, tramite un suo esponente, il senatore Valditara, quando ancora non c’era stato lo strappo con Berlusconi, ha partecipato alla sua elaborazione, poi in combutta con la sinistra più reazionaria sta contribuendo ad affossarla. Non solo ieri, dopo aver giurato che avrebbe votato a favore, ha fatto modificare un articolo della legge mettendo in minoranza l’esecutivo, ma poi alcuni suoi  parlamentari sono saliti sul tetto della facoltà di Architettura di Roma per  solidarizzare con studenti e professori. Cosa c’è di destra in tutto ciò? Cosa c’entra con un progetto moderno ed europeo la protesta in difesa dei privilegi e del malcostume universitario? Nulla. Non c’è niente di nuovo, liberale e internazionale, ma c’è tutto di vecchio.  C’è la solita politica, la lotta di potere, lo scontro sulla pelle degli italiani e su quei pochi provvedimenti che potrebbero davvero contribuire a cambiare il Paese.  Non ci sono i giovani, l’istruzione, la ricerca, lo sviluppo al centro della politica di Fli, ma la spartizione di poltrone e per questo si è pronti ad appoggiare i baroni, ingannando gli studenti e facendo loro credere che la riforma Gelmini distrugga l’Università, la privatizzi, consegnandola alle lobby. Una lotta e un gioco che non sono né moderni né liberali. Ma ricordano i Gattopardi, uomini che dicono di voler cambiare tutto per non cambiare niente.