L'editoriale
Da quando sogna di fare le scarpe a Silvio Berlusconi, Fini spiega ogni volta che il suo progetto mira a creare anche in Italia una destra moderna e europea. Per evitare di spaventare gli elettori che ha fra gli statali e nel Sud, di solito aggiunge che il modello cui si ispira non è però quello di Margaret Thatcher, la quale in Gran Bretagna sperimentò con successo il liberismo puro spazzando via sindacati e assistenzialismo. Il riferimento ideale del presidente della Camera sarebbe piuttosto Jacques Chirac, il quale pur in pensione resta più sobrio di Nicolas Sarkozy e più sperimentato di David Cameron. La scelta del leader dei gollisti francesi e non della Lady di ferro in qualche modo avrebbe dovuto farci intuire per tempo la mossa che Fini ha fatto in questi giorni. Come l’ex inquilino dell’Eliseo, Gianfranco ha infatti voltato le spalle a chi lo ha sdoganato. Chirac lo fece con Valery Giscard d’Estaing, che ebbe il torto di nominarlo primo ministro, lui con Berlusconi. Ma a parte le analogie delle pugnalate alle spalle, quando il capo di Futuro e Libertà parla di destra moderna e europea è difficile capire a cosa alluda. Certo non a Chirac, che cercò di introdurre in Francia la riforma delle pensioni e del mercato del lavoro. Né al suo successore, il quale con le espulsioni dei rom e la linea dura sulle pensioni pare poco in linea con le tesi di Fini. Di Cameron non c’è da parlare, visto che ha annunciato il taglio di 500 mila dipendenti pubblici. E allora, qual è il disegno politico di respiro continentale dell’ex delfino di Almirante ed ex amico di Jean Marie Le Pen? Nella proposta di riconoscere la cittadinanza agli immigrati o in quella di eguagliare i diritti delle coppie omosessuali a quelle eterosessuali? La verità è che nessun leader della destra europea ha mai pensato di farsi paladino di queste questioni, preferendo lasciarle alla sinistra, come è avvenuto in Spagna con Zapatero. Quindi? Se si asciuga del contenuto polemico l’intervento a Bastia Umbra del presidente della Camera, ci si rende conto che il disegno non c’è e nelle sue parole non vi è nulla di moderno ed europeo, se non poche frasi abborracciate su investimenti in ricerca e rapporto tra salari e produttività. Come certi studenti che non avendo studiato cercano di sfangare l’interrogazione, Fini usa definizioni che, se non spiegate, non significano nulla e non chiariscono cosa davvero intenda fare. Al dunque, due ore di discorso si risolvono esclusivamente nell’invito finale rivolto a Berlusconi, sollecitato a dimettersi per consentire l’apertura di un’altra fase, con lo stesso premier e gli stessi protagonisti di ora con il sovrappiù di Casini. Cosa c’è di moderno e europeo in un patto a quattro per tirare avanti la legislatura? Cosa c’è di nuovo e internazionale nel ritiro della delegazione di Futuro e Libertà dal governo qualora il Cavaliere non salga al Quirinale per genuflettersi al diktat finiano? A noi pare proprio nulla. Anzi, i riti ci paiono quelli della prima Repubblica, quando Giorgio La Malfa ordinava ai suoi uomini di uscire dall’esecutivo e Giulio Andreotti si accontentava di guidarne uno «programmatico», che campava grazie alla non sfiducia. Sarà per questo che domenica il presidente della Camera ha evocato i leader politici degli anni Settanta? Forse. Di sicuro in questi espedienti c’è odore di muffa e Berlusconi farebbe bene a starne alla larga. In queste ore sappiamo che c’è chi gli fa balenare la possibilità di andare avanti con la stampella di Fli e dell’Udc e gli spiega che se lui si adattasse tutto filerebbe via liscio alla fine della legislatura. Può darsi che così ci sia modo di scongiurare la crisi e evitare le elezioni o il governo tecnico, ma siamo convinti che sia il sistema peggiore per concludere una carriera. Anche se il Cavaliere riuscisse a restare in sella, a scadenza arriverebbe imbalsamato. Dell’uomo che voleva rompere gli schemi e le liturgie della politica resterebbe solo il nome, non la sostanza né la grandezza. Piuttosto di un quadripartito, meglio una sconfitta subito. Meglio, molto meglio, le dimissioni e il confino all’opposizione. Certo, Berlusconi così rischierebbe di concludere la sua attività politica, ma se ciò avvenisse, avverrebbe con maggior dignità.