L'editoriale
Essere ambiziosi non è un difetto. Ognuno di noi fa bene a coltivare l’idea di poter migliorare le proprie condizioni, perché questa è la spinta che fa progredire non solo gli individui, ma anche i paesi. È buona cosa dunque che anche Gianfranco Fini abbia progetti ambiziosi. Il problema è cosa si nasconde dietro queste parole e finora, da quel che si è capito, non c’è niente di buono. Non tanto per Silvio Berlusconi, piuttosto per l’Italia. Camuffata da molte definizioni, che la vorrebbero moderna ed europea, in realtà la Destra che in questi mesi è avanzata alle spalle del presidente della Camera appare più vecchia di quella che vorrebbe sostituire. Attorno ad essa non si sono raccolte le persone deluse dalla politica di Berlusconi, come Fini vorrebbe far credere, ma i trombati, coloro che nella spartizione delle nomine sono rimasti a becco asciutto e quindi confidano in un rimescolamento delle carte. Molti di loro sono gli scarti della partitocrazia, altri invece sono appartenenti alle seconde file, gente accomunata ai primi dal rancore per non essere stati gratificati con incarichi ritenuti adeguati. Del resto non potrebbe che essere così. Lo stesso Fini ha il profilo del trombato. Da anni egli coltiva l’idea di diventare il numero uno della Destra italiana, non di quella minoritaria del Movimento sociale, di cui fu capo quando questo era costretto all’isolamento dall'arco Costituzionale, ma di quella maggioritaria sorta con la discesa in campo di Berlusconi. Sono più di quindici anni che il presidente della Camera attende di occupare quello che ritiene il suo posto nella storia e sono quindici anni che le sue ambizioni vengono regolarmente deluse. Quello di Fini non è perciò l’inizio di un grande progetto di cambiamento, piuttosto l’epilogo di una grande frustrazione, dettata dal rancore e non dalla ragione. Difficile dunque edificare qualcosa di duraturo su queste fondamenta, più facile prepararsi a un crollo. La frana naturalmente non arriverà subito, anche perché l’attesa di un cambiamento contribuisce a tenere salda l’organizzazione, al fine di raggiungere gli obiettivi che gli aderenti al piano si sono dati. Ma una volta ottenuto ciò che desiderano, ovvero l’eliminazione del Cavaliere, risulterà chiaro che il Futuro e la Libertà riservatici dai finiani somigliano molto a ciò che ci mostrò la vecchia Democrazia cristiana nell’ultimo periodo della sua esistenza. Per certi versi la storia di Fini somiglia molto a quella di Ciriaco De Mita, un mediocre che - costretto a confrontarsi con Bettino Craxi - lo osteggiò in ogni modo. Quando dopo anni l’uomo di Nusco ebbe ragione del capo del Psi e riuscì a sostituirlo alla guida del governo, la sua stagione a Palazzo Chigi durò meno di un anno. Una vittoria che di fatto rappresentò l’inizio della sconfitta. Sua e della prima Repubblica, di lì a poco travolta da Tangentopoli. Temo che Fini e i suoi si preparino a una replica.