L'editoriale
Scrive l’avvocato Ennio Azzolini: la tregua armata tra Fini e Berlusconi comporta la non pubblicazione di novità sull’affare di Montecarlo? Il dubbio del lettore credo sia dovuto al fatto che da qualche giorno la questione non appare in prima pagina, ed essendo noto che il silenziatore sulla vicenda fosse una precondizione di Gianfranco per trattare con il Cavaliere, sospetta che Libero si sia adeguato all’esigenza. Le cose invece non stanno così. Per quasi due mesi ci siamo occupati dell’appartamento donato da una nobildonna ad An in «nome di una buona battaglia». Per settimane abbiamo cercato di capire chi fosse il fortunato acquirente di un alloggio monegasco pagato quanto un trilocale alla periferia di Roma. Per più di 60 giorni, dunque, abbiamo chiesto all’ex presidente di Alleanza nazionale di spiegarci come erano andate le cose, cercando di vincerne la reticenza. L’inchiesta condotta da il Giornale e da noi ha indotto il presidente della Camera a rispondere in tv di quel che era accaduto. La sua è stata una confessione a denti stretti, che ha lasciato molte ombre, ma con qualche ammissione. Fini non ha escluso che vi sia stata qualche leggerezza nella cessione dell’immobile, mettendo in dubbio la congruità del prezzo cui è stato ceduto, e riconoscendo di non sapere chi sia il proprietario fino al punto da dubitare del cognato. Già questo basterebbe per stabilire che all’inizio non aveva detto la verità o, per lo meno, che negando tutto ne aveva nascosto un pezzetto. Ma più del suo video senza domande, il colpo finale è stata la lettera del ministro di Santa Lucia, nella quale si riconosce che il vero proprietario della casa è Giancarlo Tulliani. Cosa c’è ancora da scoprire? Che la sorella del ragazzotto, nonché compagna della terza carica dello Stato, ha fatto uno o più sopralluoghi sul cantiere monegasco? E cosa cambia? La parola fine è già stata detta. C’è stata una vendita sottocosto a un parente del presidente della Camera e il benestare all’operazione lo ha dato lo stesso presidente della Camera, come ha ammesso di fronte ai pm il tesoriere di Alleanza nazionale. C’è altro da aggiungere? No. C’è solo da stabilire la data delle dimissioni. Quando titolammo “la Casa non è chiusa”, intendevamo dire che il messaggio tv non bastava, era necessario il commiato. Per quanto ci riguarda, la lettera di congedo doveva essere recapitata insieme con il famoso video a porte chiuse, ma noi siamo un giornale, non un partito e nemmeno un Parlamento. Se il signore in questione non ha la sensibilità di farsi da parte dopo aver rimediato una figuraccia a reti unificate, tocca agli onorevoli deputati risolvere la questione, invitando il presidente a togliere il disturbo. Così non è stato. Anzi. La stessa aula che attacca il presidente del Consiglio accusandolo di violentare la democrazia, non si preoccupa minimamente di chi stravolge la Costituzione e prende in ostaggio una delle più alte cariche dello Stato. Fini, da presidente della Camera, non solo riunisce nel suo studio di Montecitorio gli esponenti del suo movimento, ma addirittura dà vita a un nuovo partito contro quello che ha vinto le elezioni, dichiarandosene apertamente il capo. Mai, neppure all’epoca di Casini e Bertinotti, che pure erano rispettivamente leader dell’Udc e di Rifondazione comunista, si arrivò a tanto. Mai è stato così evidente che una delle più alte istituzioni è usata a fini politici, trasformata in contraltare del governo. Che per aver ragione di Berlusconi, l’opposizione si presti a un simile strame delle istituzioni, dimostra una sola cosa: il Pd ha nel dna i geni del vecchio Pci. Come ai tempi di Togliatti, il fine giustifica i mezzi. In questo caso il fine giustifica Fini. P.s.: Azzolini comunque stia tranquillo: appena avremo novità su Montecarlo degne di nota, le riferiremo puntualmente ai lettori.