l'Editoriale

carlotta mariani

Qualche lettore ieri forse non avrà gradito la vignetta del nostro Benny. Passi per Bersani, Rutelli e Casini in camicia nera. Ma Fini proprio no:  lui di destra ormai non ha più nulla. Ma noi non volevamo dire che il presidente della Camera è un fascista. Il nostro era uno sfottò per sottolineare che forse l’unica marcetta in orbace che gli riesce è quella contro Berlusconi, al quale come è noto -  e per noi non da ora, ma da parecchi anni - vuole soffiare il posto. Idea che allo stato attuale dei fatti resta un’aspirazione con poche possibilità di venire realizzata. Infatti, nonostante il Cavaliere a Montecitorio non abbia i numeri per continuare a governare o per lo meno per farlo senza Fini, al Senato le cose stanno in maniera diversa. A Palazzo Madama la maggioranza che sorregge il premier è abbastanza larga da impedire qualsiasi ribaltone. È per questa ragione che ancora oggi la terza carica dello Stato continua a dichiarare lealtà al governo. Come la volpe che non riesce ad acchiappare l’uva, Fini finge di non essere interessato a papparsi il grappolo di Palazzo Chigi. La realtà è molto diversa e non c’è sasso della piazza di Montecitorio che non conosca la verità. Nei conciliaboli che i parlamentari tengono dentro e fuori la Camera, nessuno nasconde qual è il vero obiettivo e perché fino ad oggi non sia stato ancora messo in pratica da Gianfranco. Senza una maggioranza al Senato, nessun governo tecnico può pensare di muovere un passo e dunque men che meno esiste la possibilità di fare una nuova legge elettorale che impedisca “per tabula” al Cavaliere di rivincere le elezioni. Senza un esecutivo tecnico che scalzi Berlusconi e in assenza della possibilità di cambiare le regole del gioco, a Fini non conviene rovesciare il tavolo e mandare a casa l’arcinemico. Dunque, le prossime settimane ci riserveranno altre puntate dello sceneggiato in cui il presidente della Camera si dichiara sostenitore del governo benché trami nell’ombra per sabotarlo.  Si tratta di vedere però quanto possa durare il gioco. E non solo perché il Cavaliere si potrebbe stancare e affrettare la resa dei conti, ma pure perché il lavorìo sotterraneo del presidente della Camera potrebbe alla fine scavare delle gallerie dietro le linee nemiche, in questo caso tra le truppe di Berlusconi. Parlando fuori dai denti e senza troppi giri di parole, ho il sospetto che Fini e i suoi luogotenenti puntino a garantirsi numeri favorevoli anche a Palazzo Madama. Facendo leva sulla paura di perdere il posto a causa dell’avanzata della Lega, i finiani stanno provando a reclutare uomini ora arruolati tra le fila del PdL, invitandoli alla diserzione sotto le insegne di Futuro e Libertà.  Se ciò succedesse, la linea Maginot eretta dal Cav sarebbe aggirata e con una manciata di voti sarebbe possibile anche il ribaltone. Ovviamente Gianfranco non sarebbe così sciocco da nominarlo con il suo vero nome, ma infiocchetterebbe il pacco con carte luccicanti, etichettando l’abusivo con definizioni tipo esecutivo di salute nazionale oppure gabinetto per fronteggiare la crisi economica. Ma al di là degli specchietti per le allodole, il gioco resta quello che non ci stanchiamo di ripetere: far fuori Berlusconi e sostituirlo con i vecchi esercenti che da trent’anni stanno sulla scena politica. Provate a farci caso: riguardatevi la vignetta di Benny, con Bersani, Rutelli, Fini e Casini. Non ce n’è uno che ai tempi della prima Repubblica non fosse in politica e in prossimità del Parlamento. Il Cavaliere ha sicuramente più anni di loro, ma la banda dei quattro è più vecchia di lui. Politicamente parlando, ovvio. Attento dunque Silvio, perché il vecchio che avanza si prepara a mandarti in pensione.