l'Editoriale
Quando il 2 giugno di 33 anni fa le Br spararono a Indro Montanelli, quasi tutti gli espressero solidarietà. Scrivo quasi perché ci fu chi sul Corriere della Sera, meschinamente, ne nascose il nome, evitando di dire ai propri lettori, i quali per anni lo avevano letto sulle pagine di via Solferino, che il giornalista più noto d’Italia era stato gambizzato. Se ricordo l’episodio di cui rimase vittima il fondatore del Giornale non è per accostare il mio caso al suo. Indro fu effettivamente ferito, mentre a me è andata meglio e le pistolettate le ho solo rischiate. Ma, nonostante tutte le diversità, c’è un aspetto che avvicina i due fatti. Anche lui infatti fu vittima due volte, prima a opera degli attentatori e poi per mano di chi si incaricò di diffondere subdole distorsioni e illazioni. Quando ancora Montanelli giaceva nel letto d’ospedale, l’Unità provvide a scrivere che forse sarebbe stato «indotto a qualche ripensamento sugli spazi che una linea di visione e contrapposizione, qual è quella da lui perseguita, ha offerto all’eversione». Colpa di Indro, insomma se si è arrivati al punto di sparare, doveva pensarci prima di contrastare i comunisti. Operazione di magistrale ribaltamento delle responsabilità. La frase mi è tornata in mente leggendo Marco Travaglio, il quale sul Fatto quotidiano di domenica mi ritorce contro il mio invito alla prudenza e alla moderazione, a evitare di rappresentarci come servi al servizio del Grande Male, esseri spregevoli senza nessuna dignità, nemmeno quella di chi esercita il meretricio. Ovviamente, sapendo che mentre scrivevo quelle frasi pensavo a lui, Travaglio usa a casaccio un certo numero di titoli di Libero, tentando di confondere le acque. Peccato che nessuno di questi miri a denigrare o annientare l'avversario, nemmeno quando si tratta di lui. Con ciò non intendo sostenere di essere una mammoletta. Nel corso degli anni ho condotto inchieste e affrontato polemiche con passione, ma mai privando di rispetto nessuno. Mai additando al pubblico ludibrio un collega scrivendo che non fa il mio stesso mestiere, ma esercita quello della prostituta, sguazza nel fango ed è un sicario pagato da un bandito. Il pensiero di Indro Indro Montanelli, rispondendo all’Unità, scrisse di essere certo che il Pci non aveva armato la mano dei suoi attentatori, ma di essere matematicamente sicuro che gli eroi dell’agguato alle spalle fossero i frutti della campagna di odio che per trent’anni il Partito comunista aveva condotto contro di lui, diffamandolo e indicandolo al pubblico furore come fascista, nemico del popolo, agente della Cia eccetera. Ribadisco: pur essendo subentrato a lui qualche anno dopo nella guida de “Il Giornale”, non ho la pretesa di accostare il mio nome al suo, anche perché non vorrei turbare troppo Travaglio, che di Indro si è autonominato erede e custode assoluto. Ciononostante, non mi sfugge come l’editorialista del Fatto, che pure mi ha inviato un sms di solidarietà, dopo aver lanciato il sasso nasconda la mano. Fino a qualche tempo fa, in privato Marco mi riconosceva, bontà sua, di essere un giornalista e non un pennivendolo. Ma da quando un bel giorno, durante Annozero, mi sono permesso di invitarlo alla cautela nel giudicare le persone dalle loro frequentazioni, perché anche lui avrebbe potuto essere criticato per aver trascorso le vacanze con un signore condannato poi per favoreggiamento della mafia, su di me ha rovesciato ogni genere d’insulto. L’ironia di Marco Intendiamoci, tutto ciò Travaglio lo fa con ironia, anzi usando la comicità. E quando è raggiunto da querela si appella al diritto di satira, certo di farla franca grazie ai molti amici su cui può contare nelle aule di tribunale. Ciò detto, pur continuando a pensare che non armerebbe mai la mano di nessuno, non posso non constatare che nel clima di odio Marco ci ha messo molto del suo. La totale denigrazione dell’avversario e la mancanza di un minimo di rispetto sono la materia prima dei suoi articoli. Ingredienti che insaporiscono la campagna d’odio di cui molti di noi, giornalisti di centrodestra, sono vittime. Marco dice di non essere di sinistra ma di destra e dunque respinge ogni accostamento con il comunismo e i suoi eredi. Apparentemente ha ragione, egli non ha nulla a che fare col Pci e le costellazioni che vi ruotarono intorno, ma di quei movimenti ha ereditato lo stile. Da molti anni in questo Paese gli argomenti violenti hanno un mercato e nel passato sono stati linfa di vari fogli rossi, a cominciare da Lotta continua. Oggi che la sinistra è una galassia frastagliata e i suoi organi sono defunti da tempo, il mercato della violenza e dell’odio resta intatto, alimentato da un nuovo nutrimento generazionale, di chi, anche se la rivoluzione non è più di moda, non smette di sognarla, fosse anche in forme diverse. Travaglio, pur essendo lontano anni luce da tutto ciò, con una furbesca operazione di marketing giornalistico è riuscito a diventare l’articolo più venduto su questo mercato e le sue pubblicazioni ne sono prova. Scrivendo ciò, non mi attendo alcun ripensamento dall’illustre collega, anzi sono convinto che rincarerà la dose di menzogne e cattiverie che da tempo mi riserva. Ma almeno avrò la serenità di non aver ignorato le lacrime di coccodrillo che ha voluto piangermi addosso via sms.