L'editoriale
Berlusconi ha parlato, la sinistra sparlato e alla fine il Parlamento ha votato: tutto come nelle previsioni. Ma se dovessimo indicare cosa è cambiato rispetto a prima, non sapremmo che dire, se non che la legislatura si avvia alla fine e che un voto a marzo è assai probabile. È questa l’amara conclusione della lunga giornata di ieri. Il presidente del Consiglio è giunto a Montecitorio pieno di buone intenzioni, deciso a raddrizzare una nave che negli ultimi mesi ha imbarcato troppa acqua, ma ha lasciato l’aula senza aver risolto nessuno dei problemi che lo avevano condotto lì. I finiani non si sono divisi né ricreduti, ma pur essendo minoranza conservano intatto il loro potere di veto su qualsiasi decisione della maggioranza. La quale anzi, con la nascita del nuovo partito e le probabili dimissioni di Fini da presidente della Camera che gli consentiranno mani libere, è minacciata se possibile d’esser ricattata ancor più. Per contro, gli annunciati ascari che avrebbero dovuto soccorrere il governo non paiono in numero adeguato da consentire di immaginare per il futuro una navigazione tranquilla. Dopo ieri, nel fare pronostici sulla tenuta del natante condotto da Berlusconi, non possiamo dunque in alcun modo escludere un naufragio a breve, con orizzonte massimo la primavera. E allora, vi domanderete, cosa è servito tutto questo: i cinque punti, il discorso, il voto, se poi in conclusione tocca tornare alle urne? Non era meglio levarsi il dente e il dolore senza indugiare oltre? La logica naturalmente porta a rispondere sì: meglio una morte immediata alla lunga agonia che si prospetta. Ma come sapete la politica non procede in linea retta, più spesso percorre sentieri tortuosi. In questo caso, la via è complicata dall’incertezza sullo scioglimento del Parlamento: se Berlusconi si dimettesse, gli avversari farebbero carte false pur di non far riaprire i seggi. Perciò, per evitare il ribaltone, il Cavaliere è costretto ad andare avanti anche se nessuno, compreso lui, sa dove stia andando. Ovviamente il capo del governo è conscio che alla lunga rischia di finire rosolato, proprio come vorrebbero i suoi nemici. Ma è anche consapevole che per trovare una via d’uscita dall’angolo in cui l’ha cacciato Fini ha bisogno di tempo. Settimane e mesi in cui confida di poter risalire nei sondaggi, riconquistando il consenso di quegli elettori di centrodestra che oggi appaiono nauseati dallo scontro in atto e meditano di non recarsi alle urne, condannando il PdL a una vittoria che rischia di tramutarsi in sconfitta a causa di una maggioranza assoluta al Senato. Ce la farà a trovare una soluzione al rebus? Riuscirà a risollevarsi? Difficile dirlo. Pur essendosi rivelato abile quanto Houdini nel liberarsi delle catene con cui l’hanno più volte imprigionato, Berlusconi oggi non pare avere in serbo nessun gioco di prestigio. Naturalmente l’uomo è pieno di sorprese e ha più vite di quante ne abbiano i gatti. È su quelle che facciamo ancora affidamento per allontanare da noi la sola idea che il futuro ci riservi un Fini premier o presidente della Repubblica. Ai tempi della vecchia Dc, chi voleva cambiare si augurava di non morire democristiano. A noi basterebbe non vedere un Paese finiano