L'editoriale
Il Partito democratico è una vittima, anzi la vittima. Così Rosy Bindi, giovedì sera su La7, ha commentato l’aggressione al segretario Cisl Raffaele Bonanni alla festa del Pd. Con un sorprendente ribaltamento dei ruoli, la presidentessa del maggior partito di sinistra ha in questo modo inteso respingere ogni responsabilità per ciò che è accaduto a Torino, negando non tanto di aver organizzato l’agguato (cosa che nessuno ha mai neanche lontanamente ipotizzato), ma di aver chiuso gli occhi di fronte al clima di odio che si va diffondendo nel Paese. Situazione a cui proprio il Pd e i suoi alleati hanno in larga parte contribuito. Del resto, sul tema della violenza politica e del terrorismo, lo stravolgimento della realtà è ricorrente nella storia della sinistra e in particolare del Partito comunista e della sua diretta organizzazione sindacale. Ne sono prova anche le parole dell’ex ministro Cesare Damiano, ex funzionario Cgil e ora esponente Pd, il quale, richiesto di un commento sul lancio di fumogeni contro il segretario della Cisl, se ne è uscito negando qualsiasi indulgenza nei confronti della violenza e attribuendo al suo partito il ruolo storico di argine anti-terrorismo. Ovviamente non senza aver citato Guido Rossa, militante comunista e della Cgil ucciso più di trent’anni fa da un commando delle Brigate Rosse. Il richiamo all’esponente del consiglio di fabbrica dell’Italsider è un classico. In suo nome gli eredi del Pci si attribuiscono i meriti di una lotta alla violenza politica e al terrorismo che non c’è mai stata e, quando c’è stata, è arrivata tardi. E proprio la morte di Rossa ne è la testimonianza. L’eroico operaio denunciò da solo e contro il parere del consiglio di fabbrica il postino delle Br che recapitava all’interno dell’acciaieria i comunicati della colonna genovese. Fosse stato per i compagni di Rossa, nessuno dei brigasti liguri sarebbe infatti mai stato arrestato, perché all’interno del consiglio di fabbrica la maggioranza si espresse per tener fuori magistratura e forze dell’ordine da quella vicenda. Avrebbe preferito regolare i conti in casa, magari avvisando il postino che era stato scoperto. I compagni erano per la vigilanza democratica, non per la denuncia. E del resto in quegli anni l’imperativo era vigilare, perché, come oggi, si pensava che i terroristi, i violenti, fossero dei provocatori, gente assoldata dai servizi contro il movimento operaio. Per questo bisognava tenere gli occhi aperti. E se si sospettava qualcosa o qualcuno bisognava avvertire il partito, mica le forze dell’ordine. Guido Rossa non ci stette e, lasciato solo da tutti, andò dai carabinieri. In seguito gli rimproverarono di non aver atteso e riferito al responsabile della federazione e, dopo la denuncia e il conseguente arresto del postino Br, visse momenti di solitudine. Fino a quel giorno, il 24 gennaio del 1979, quando un gruppo di fuoco gli sparò. Allora non fu più solo, il Pci ne fece una bandiera, a dimostrazione che i brigatisti, seppur rossi, erano contro il partitone, contro la classe operaia e la nomenclatura di Botteghe Oscure. Da quel momento in poi la linea del Pci cambiò. Le Br non furono più sedicenti, ma divennero un nemico che aveva come obiettivo primario proprio il glorioso partito comunista e Guido Rossa fu trasformato nel simbolo del martirio dei compagni. Il corpo dell’operaio Italsider riverso nell’auto divenne l’immagine di quella lotta, oscurando i volti di Prospero Gallinari, Alberto Franceschini e Antonio Paroli, i tre esponenti della Fgci di Reggio Emilia che insieme con Renato Curcio diedero vita al primo nucleo delle Br, un gruppo che la sua prima pistola la ebbe in dono da un partigiano comunista e a cui fu consentito di esercitarsi al tirassegno sulle montagne di Ovada grazie al silenzio di esponenti del Pci. Naturalmente nessuno oggi pensa che ci si trovi di fronte a movimenti come quelli che segnarono gli Anni di piombo, né che qualche funzionario sia in collegamento con i gruppi che lanciano fumogeni contro i leader sindacali moderati. No, niente di tutto ciò. Semplicemente indigna sentire, oggi come allora, che le vittime non sono le persone ferite o morte negli attentati (quasi sempre funzionari dello Stato, poliziotti o carabinieri, oppure esponenti politici riformisti), ma coloro che troppe volte hanno chiuso gli occhi e che, talvolta, l’odio di classe o quello contro l’avversario del momento l’hanno fomentato. Nessuno vi accusa. Nessuno vi imputa nulla, se non la mancata decenza. Dunque, almeno tacete.