L'editoriale
Gianfranco Fini è tornato a parlare. Lo ha fatto con uno stranamente ossequioso Enrico Mentana, il quale gli ha fatto lo sconto non chiedendogli se appoggerebbe un governo tecnico senza il Cavaliere, né quale ruolo abbia avuto nella concessione di generosi appalti Rai ai Tulliani. Alla domanda sull’appartamento di Montecarlo, formulata dal direttore del Tg de La7 quasi scusandosi, il presidente della Camera, ostentando un sorriso stampato segno di una tranquillità che non c’è, ha risposto senza dire nulla di nuovo, ma ripetendo più o meno quel che aveva detto a Mirabello, parlando cioè di campagna infame che non ha risparmiato la sua famiglia. In linea di principio Fini ha ragione: i parenti bisognerebbe lasciarli stare. Che c’entrano la moglie, il cognato, la suocera e il resto del clan se lui s’è messo in testa di soffiare il posto al Cavaliere? Ma a metterli in mezzo non siamo stati noi di Libero, né i colleghi del Giornale. È stato Fini ad affidare a Giancarlo Tulliani la vendita della casa di Montecarlo. È stato lui a legare il nome della moglie alla misteriosa operazione in cui compaiono società che hanno sede nei mari esotici. Ed è stato sempre il presidente della Camera a convocare un dirigente Rai per ingiungergli di dare a “Elisabetto” un po’ di quattrini della tv di Stato, anche se il cognatino l’unica televisione di cui s’era occupato fino a prima era quella del salotto di casa. Capisco che sia dura vedere i propri cari sotto pressione, ma qui non siamo stati noi a metterceli. È stato il presidente della Camera che ha mischiato affari di cuore e affari pubblici, accettando che alla società della suocera fosse affidata la produzione di programmi per Raiuno. Aver confuso i ruoli ha contribuito a quel che è successo e dunque Fini se la deve prendere soprattutto con se stesso. Ma a proposito di confusione, vedo che il numero uno di Montecitorio continua a non tener separate neppure la funzione di terza carica dello Stato da quella di capo partito. Anzi, da quel che ha detto ieri si capisce che ha intenzione di rimanere incollato alla poltrona fino alla fine della legislatura, per poterla usare contro gli avversari politici, i quali ormai non sono più né Di Pietro né Bersani come si è capito, ma Berlusconi e Bossi. Fini si è concesso pure la beffa di leggere le norme che gli garantiscono l’assoluta inamovibilità. Ovviamente non c’era bisogno di ricordarlo. Sappiamo tutti che difficilmente schioderà da quella sedia, perché non c’è nessuna legge che lo obblighi, ma solo il buon gusto e il senso del pudore. So che in questo momento il capo del governo e il leader del Carroccio si stanno arrovellando per trovare la “quadra” e cacciare Fini da dove hanno contribuito a nominarlo. Mi permetto dunque di suggerire un’idea: facciano presentare ai deputati del PdL un certo numero di interrogazioni parlamentari al ministro della Giustizia o al presidente del Consiglio, chiedendo che vengano a riferire in Parlamento dell’indagine su Montecarlo o degli appalti Rai. Fini dovrà decidere se ammettere la discussione a Montecitorio oppure no. Forse la mossa non consentirà di sfrattarlo, ma sia che decida di dichiararle irricevibili, sia che accetti di farle discutere alla Camera, sono certo che se non perderà la poltrona almeno perderà il sorriso.