L'editoriale
Andiamo avanti, ha detto spavaldo Gianfranco Fini domenica sera a Mirabello. Sì, ma in quale direzione?, hanno subito iniziato a domandarsi i 44 parlamentari di Futuro e Libertà. Infatti, appare evidente che Silvio Berlusconi non accetterà di sottoscrivere un nuovo patto di legislatura con colui che giudica un traditore e un nemico giurato. Il Cavaliere sa che l’accordo propostogli, ossia una nuova legge elettorale in cambio dello scudo giudiziario per le alte cariche, è un trappolone, con cui lo si vorrebbe legare mani e piedi per i prossimi due anni, rosolare a dovere, per poi impedirgli di tornare al governo o al Quirinale nella legislatura prossima ventura. Dunque, se la linea del presidente della Camera non cambia ma è condivisa dai suoi uomini e la riforma elettorale è una condizione vincolante per la tregua, non resta che votare. Bossi e i suoi l’hanno fatto capire senza mezzi termini ieri e ai finiani si sono rizzati i capelli in testa. Se si tornasse alle urne in autunno, il gruppo che fa capo alla terza carica dello Stato non avrebbe neppure il tempo di organizzarsi e ancor meno avrebbe risorse per finanziare la campagna elettorale. Quindi sarebbe assai difficile raggiungere quel sei per cento che sondaggisti generosi gli attribuiscono. Più facile invece fermarsi al quattro o anche meno. Ciò però significherebbe che, con l’attuale legge elettorale, si rischia non solo di non riuscire a eleggere neppure un senatore, ma addirittura neanche un deputato. Così è accaduto a Rifondazione e compagni alle scorse elezioni, così potrebbe succedere anche a Futuro e Libertà. Ma anche qualora si arrivasse al cinque per cento, Fini potrebbe contare su una truppa assai più esigua di quella attuale. Basti pensare che l’Udc, la quale nel 2008 sfiorò il sei per cento, si ritrovò con 36 deputati e 3 senatori, ma a Palazzo Madama entrò solo per il rotto della cuffia, avendo superato la soglia dell’otto per cento in Sicilia, obiettivo giudicato irrealizzabile per gli uomini del presidente della Camera. Il timore di elezioni anticipate pare abbia spinto ieri alcuni esponenti finiani a far visita a Berlusconi, cercando di rassicurarlo e giurando lealtà al governo più che a Fini. Ma il presidente del Consiglio ora più che alle parole bada ai fatti e questi dovranno essere d’ora in avanti chiari e inequivocabili. Se i transfughi non daranno prove chiare e tangibili del loro sostegno all’esecutivo, il Cavaliere non starà ad aspettare, ma salirà al Colle rimettendo il mandato e sollecitando Napolitano a indire le elezioni il prima possibile. Il premier infatti sa che di una cosa Gianfranco ha bisogno come il pane ed è il tempo: settimane, ma meglio ancora mesi, per organizzare il suo nuovo partito e rafforzarsi. Un vantaggio che Silvio non ha intenzione di concedergli. Perciò, fossimo nei panni dei 44 di Futuro e Libertà, ci guarderemmo allo specchio e decideremmo cosa fare, se restare con Fini contro il governo oppure schierarsi dalla parte di Berlusconi e degli elettori che appena due anni fa lo scelsero come premier. Tenere il piede in due scarpe non è più possibile: si rischia di perderle tutte e due. E insieme anche il piede.