L'editoriale

Tatiana Necchi

In attesa di attaccarsi al tram, si attaccano al pullman. L’ultima spiaggia dei finiani è la battaglia del torpedone fantasma: da due giorni non fanno altro che scatenarsi contro i presunti viaggi comitiva organizzati per contestare Fini a Mirabello. Notizia smentita in ogni modo e in ogni dove, ma che importa? Farefuturo e il Secolo d’Italia, in evidente crisi d’astinenza da argomenti sensati, continuano a premere l’acceleratore delle inesistenti autolinee Brambilla. Poveretti, si devono accontentare: volevano avere in mano le leve del cambio politico, invece al massimo riescono ad avere in mano la leva del cambio dell’autobus. Con tanto di frizione, s’intende.  La guida appare lievemente spericolata, però. Il disorientamento, infatti,  è tale che Farefuturo arriva a identificare nel pullman l’essenza stessa del berlusconismo. Addirittura. «I pullman», scrive, «sono il Dna del berlusconismo, sono la parte integrante della loro visione politica». Non è meraviglioso? Pensare che una volta il pullman era il simbolo sinceramente democratico dell’Ulivo di Prodi: Berlusconi è stato accusato per aver usato aerei, elicotteri, auto di lusso, magari anche navi da crociera. Mai nessuno finora gli aveva imputato l’eccesso di pullmismo. Evidentemente sono arrivati al capolinea. Per identificare il berlusconismo con la filosofia del gran-turismo ci vuole infatti una buona dose di esasperazione, e soprattutto l’assenza di qualsiasi altro argomento. Tanto più, si badi bene, se l’esistenza dei famosi pullman è stata seccamente smentita con tanto di denuncia e querela. Ma che ci volete fare?  Da Farefuturo a Obliterarepresente, i finiani  s’avventurano con fantasia sulle tratte suburbane, e a volte anche un po’ subumane, citando a caso un po’ tutti, da Gad Lerner ai bravi di don Rodrigo (noti frequentatori di pullman) e concludendo con la totale e ardita identificazione della filosofia politica del Pdl con l’autonoleggio. «Purtroppo quei pullman non sono l’eccezione, sono la (loro) normalità», scrivono. Mica come i finian-tulliani che da qualche tempo amano viaggiare solo in Ferrari. E senza nemmeno paura dell’autocombustione. Il trattato di politologia fondata sull’autobus (che non c’è) conduce per strade in salita. E anche un po’ in retromarcia.  Flavia Perina, per dire, sale sul tranvai e recupera tutto l’armamentario del suo passato fascista: il manganello, le prove muscolari, il brivido del passamontagna. Ma poi  lo attribuisce pari pari ai fedelissimi berlusconiani. E perché? Per via dei pullman. Niente altro. Ma vi pare? Ora, a parte il fatto che  dei pullman è stata per l’appunto smentita l’esistenza, quand’anche ci fossero davvero (e non ci sono), chi l’ha detto che le persone ci salirebbero sopra indossando «il passamontagna con la borsa di Hermes», come scrive la Perina? Come si fa a trasformare una (inesistente) azione di dissenso nella prova provata del fascismo? Anzi, del fatto che «i berlusconiani sono più fascisti di noi»?  Evidentemente, a forza di pensare alle tramvie, i perini e le perine devono aver preso una solenne sbandata. Per carità, bisogna capirli: sono senza guida. Il loro autista Gianfranco non dà indicazioni precise sulla rotta da seguire. Vietato parlare al conducente. Anche perché, il conducente non parla. In attesa dell’ormai mitico discorso di Mirabello, a cui tutta la vita politica sta appesa come i Cocorito stanno appesi al trespolo,  Fini passa le sue giornate a incassare in silenzio. Al massimo ogni tanto minaccia una querela. Però non spiega, non risponde, tace e annaspa sotto mazzate sempre nuove, compresa  l’ultima, la sponsorizzazione del senatore Nicola Di Girolamo, costretto poi a lasciare il seggio perché accusato di legami con la ndrangheta, come rivela oggi il nostro Bechis. Non male, per il paladino della questione morale, vero? Futuro&difficoltà. Il presidente della Camera è in ginocchio: spera che gli piova dall’alto un miracoloso cessate il fuoco che cancelli d’incanto tutte le domande rimaste ancora senza risposta, tutti gli interrogativi sull’eredità, la cricca e la Rai, ma sa benissimo che ormai, pullman o non pullman, lui è arrivato a fine corsa. E il discorso di Mirabello? La spasmodica attesa rischia di partorire il solito sorcio. Almeno a quanto si può intendere dalla succosa anticipazione dell’intervento che ieri Gianfranco ha dato a un giornalista amico della Stampa: «Non mollo, ci mancherebbe altro: sono un Capricorno». Questi sì che sono fini (anzi Fini) ragionamenti politici: lui è del Capricorno. Ascendente Ariete? Discendente Sagittario? E come sono le affinità di coppia con il Cancro (absit iniuria verbis: è il suo segno) Bocchino? E con gli Scorpioni di casa Tulliani? Faceva il presidente della Camera adesso fa l’astrologo: un grande progresso, mi pare. Avanti di questo passo e tra un po’ lo vedremo comparire vestito da Otelma: magari non ha le palle (a sfera), però sa raccontarle. E le case astrologiche, per quanto  discutibili, sono comunque meno imbarazzanti delle case a Montecarlo. Congiunzione, opposizione, trigono, sestile, segni di terra, segni di acqua, cuspide, vergine, leone o ariete? Comincia male il settembre decisivo dei finiani: le truppe s’attaccano al pullman, il leader s’aggrappa allo Zodiaco. Di quello che succede nel Paese non ci capisce molto, in compenso pare abbia chiarissima la situazione astrale. Del resto si sa: a prender certe botte, si finisce subito per veder le stelle.