L'EDITORIALE
La battuta più in voga riguarda il presidente della Camera: Fini tiene famiglie, al plurale perché il cerchio domestico non si chiude con Elisabetta Tulliani e le due bimbe che la signora gli ha regalato, ma si allarga pure alla suocera e al cognato. E poi alla prima famiglia, con Daniela Di Sotto, ex tipografa del Secolo d’Italia che fu intercettata al telefono mentre si occupava di sanità e di autorizzazioni regionali, inchiesta giudiziaria finita nel dimenticatoio. Storie molto italiane, che non si addicono a un personaggio politico che aveva scommesso tutte le sue carte su un’immagine integerrima, da contrapporre a quella di un Berlusconi da presentare come corrotto. Come si sa, il diavolo fa i cognati ma non i coperchi e così all’ex presidente di An, che sognava di soffiare il posto all’odiato alleato, tocca in sorte una vicenda gelatinosa, per dirla con i pm di Firenze, fatta di soldi, parenti, raccomandazioni in Rai e altro. Una questione losca, in cui il presidente della Camera più cerca di giustificarsi e più affonda. Fini rischia infatti di essere inghiottito dalle sabbie mobili di un sistema: il suo. E questo nonostante le amorevoli cure di Repubblica, la quale lo aveva già eletto a proprio leader ideale, scommettendo su di lui tutte le sue carte per riuscire finalmente nell’obiettivo di pensionare il Cavaliere. La legge del contrappasso però ha fatto un brutto scherzo a Ezio Mauro e ai suoi. Proprio a loro, che l’estate scorsa l’avevano passata a ispezionare le lenzuola del Cavaliere, ora tocca di dover difendere le relazioni pericolose del futuro candidato premier della sinistra. Era quasi divertente ieri leggere gli articoli del quotidiano della sinistra con la barca a vela e la casa a Capalbio. L’accorata difesa del giornale che fu di Scalfari (un marchio di fabbrica, anche della jella portata in dote ai candidati prescelti) era imbarazzante. Per Repubblica Fini «ha voluto chiudere subito il caso» dell’appartamento di Montecarlo, rispondendo con i «fatti» e mettendo un punto fermo alla vicenda. Nel disperato tentativo di proteggere il futuro leader della nuova sinistra, il quotidiano di Mauro non si è neppure accorto che gli otto punti del presidente della Camera sono arrivati con 10 giorni di ritardo e soprattutto che non spiegano nulla, ma anzi aprono altri dubbi. A cominciare dal perché un giovanotto con poca arte e ancor meno parte come Giancarlo Tulliani, oltre che della Rai, si occupasse degli immobili di An. Perché questo signore, che nel curriculum può vantare solo di essere il fratello della compagna di Fini, sapeva degli affari del partito? Chi gli ha parlato della casa, il leader di Futuro e Libertà? Oppure ne ha appreso l’esistenza al bar, a insaputa del parente importante? E perché il cognato, che, come spiega il nostro Bechis nell’articolo d’apertura, nel 2008 viveva nello stesso palazzo del cofondatore, parlò dell’appartamento ma non dell’affitto? E poi: ma il presidente della Camera è informato che tra il 1999 e il 2008 in ogni parte del mondo i prezzi del mercato immobiliare sono schizzati alle stelle, raddoppiandosi quando non quadruplicandosi? Oppure pensava che mentre a Roma, Milano, Londra e New York il mattone rincarava, nella patria dei ricchi fosse restato stabile per fare un piacere a Giancarlo Tulliani? E infine sa che, seppur non tecnicamente pubblici, anche i soldi di un partito non sono privati ma degli iscritti? Quesiti tutti senza risposta, soprattutto perché il quotidiano che proprio sulle domande ha vissuto tutta l’estate scorsa, invece di interrogare il presidente della Camera, preferisce fargli da ufficio stampa. Qui si capisce cosa intendessero Ezio Mauro e i suoi redattori quando lanciarono la campagna in difesa della libertà. Ecco perché non volevano il bavaglio: per difendere chi è indifendibile. P.S.: Fini rispondendo senza rispondere, domenica si è però dimenticato di dire anche una sola mezza parola a proposito degli appalti Rai concessi a suo cognato e a sua suocera. Da giorni riferiamo la tesi di un suo intervento diretto per far ottenere ai parenti un minimo garantito, richiesta che sarebbe stata inoltrata al capo delle relazioni esterne della Rai, il finiano Guido Paglia, il quale per non averla esaudita sarebbe stato defenestrato. Il presidente della Camera ci vuole dare una spiegazione di ciò che è successo? E già che ci siamo: ce la vuole dare anche la Rai e i dirigenti che hanno maneggiato la questione autorizzando il contratto a Giancarlo Tulliani? So che qualcuno è seriamente imbarazzato, ma anche qui si tratta di soldi della collettività e vorremmo sapere chi li spende e perché. Chiediamo troppo all’uomo che reclama trasparenza? Chi è d’accordo, ci scriva ai recapiti indicati in prima pagina. Noi gireremo il messaggio a Montecitorio.