L'editoriale
Riceviamo e pubblichiamo - Caro Direttore, l’elezione a ministro del senatore Brancher è l’ennesima dimostrazione che la legge non è uguale per tutti. È ormai chiaro anche agli sprovveduti che quest’incarico, dai contorni non ben definiti (anche l’interessato non sa quali siano le sue competenze), è stato deciso in tutta fretta, affinché Brancher eccepisca il “legittimo impedimento”, per non comparire al processo sul tentativo di scalata Antonveneta-Bpi, in cui è accusato di appropriazione indebita. Fatti di questo genere lasciano il segno. Attilio Lucchini Caro Lucchini, non conosco Aldo Brancher e so poco anche delle vicende giudiziarie che lo vedono coinvolto. Ovviamente, ho letto ciò che scrivono i giornali, ma, non avendo consultato gli atti del processo, non mi è noto se anch’egli faccia parte di quell’ormai folto gruppo di collaboratori di Berlusconi finiti nel mirino della giustizia a causa della loro vicinanza al premier. In questi anni per colpire il Cavaliere non si è guardato in faccia a nessuno e tanti incolpevoli che gli ruotano attorno ne hanno fatto le spese. Dunque non escludo che dalle parti di Palazzo Chigi a qualcuno sia venuta in mente l’idea di proteggerlo con lo “scudo” del legittimo impedimento. Il che è una gran pirlata. Se si è voluto difendere una persona ingiustamente perseguita, lo si è fatto in maniera che dire maldestra è poco. Nominarlo in tutta fretta ministro di non si sa che, per consentirgli il giorno dopo di far ricorso alla tutela degli impegni di governo, è un errore che l’intero centrodestra rischia di pagare caro e il presidente del Consiglio più di tutti. Il legittimo impedimento è una misura nata per permettere alle alte cariche di svolgere il loro lavoro in tutta tranquillità, senza dover trascorrere tempo in tribunale, nel caso siano soggette a processi. Diciamo che è un lodo Alfano minore, il quale non interrompe il giudizio, ma permette di rinviare le udienze ogni volta che coincidano con un appuntamento istituzionale. Ovviamente sappiamo tutti che è un provvedimento fatto ad hoc per Berlusconi, con l’obiettivo di sottrarlo a un’aggressione giudiziaria che va avanti da anni. Ma sappiamo anche che si tratta di una misura eccezionale che risponde a un caso eccezionale. Farla diventare la regola, e per giunta promuovere ministro un parlamentare nei guai, non è una buona cosa, soprattutto non è una decisione che l’opinione pubblica possa digerire facilmente. Il rischio è che il provvedimento accettato per salvare il Cavaliere venga rimesso in discussione, aggiungendo nuove polemiche a quelle che già stanno logorando la maggioranza sulle intercettazioni. In tutta franchezza si tratta di un autogol di cui non si sentiva il bisogno, che fornisce all’opposizione e anche ai fedelissimi di Gianfranco Fini nuovi argomenti per attaccare il governo, incrinando il patto di ferro tra il PdL e la Lega che fino ad oggi ha reso inossidabile l’esecutivo. Si aggiunga a questo che in conseguenza della nomina di Brancher verrà creato un nuovo ministero: in tempi di vacche magre nessuno avrebbe obiettato, ma nel momento in cui si chiede a tutti di tirare la cinghia, non è una decisione popolare. A questo punto, per rimediare, Brancher ha fatto bene a levare dall’impiccio gli amici che hanno voluto aiutarlo. Il modo più semplice è presentarsi alla prossima udienza senza fare alcun ricorso al legittimo impedimento. Per parte nostra, seguiremo il processo, pronti a denunciare qualsiasi persecuzione giudiziaria contro di lui e i suoi familiari. Lo so, non è molto, ma è sempre meglio che finire sfiduciati in parlamento, facendo fare alla maggioranza la figura di un’armata Brancher-leone. Maurizio Belpietro