L'editoriale
Immagino l’esultanza di qualche lettore di fronte alla notizia che il capo dei moralisti è indagato dalla procura di Roma per una faccenda di rimborsi elettorali, fondi che invece finire nelle casse del partito sarebbero direttamente transitati in quelle dell’associazione di famiglia. Per quel che mi riguarda, però, ci andrei cauto. E non solo perché chi è garantista lo deve essere senza eccezioni, pure con un tipo come Di Pietro, il quale garantista non lo è mai stato, ma, al contrario, dei guai giudiziari altrui ha sempre goduto, sbattendo la gente in cella e approfittandone per costruirsi una solida carriera politica. Ma anche perché negli ultimi 16 anni di inchieste a carico dell’ex pm ne ho viste di tutti i colori e però pure da quelle più brutte, che per chiunque sarebbero state esiziali, il capo dell’Italia dei valori è uscito candido come un giglio, atteggiandosi pure a vittima dei calunniatori e degli avversari politici. Chi ha seguito i traffici con l’ex proprietario della Maa assicurazioni, Gorrini, o i “regali” del costruttore di Milano, D’Adamo, sa che l’eroe di Mani pulite ha sempre avuto dei lati oscuri, se così volete chiamare il denaro che all’inizio degli anni Novanta girava intorno a lui. Prestiti senza interesse e senza contratto, auto concesse in comodato d’uso gratuito, case in pieno centro, abiti griffati e soldi restituiti senza imbarazzo in una scatola di scarpe. E poi un banchiere che sembrò dire d’essere stato sbancato, ma il tribunale accertò che in realtà diceva sbiancato, altri milioni, appartamenti comprati con grande facilità e un mucchio di dubbi mai chiariti, ma subito archiviati. Sulle ombre che hanno accompagnato l’ascesa di Tonino, il nostro Filippo Facci ha scritto un libro di oltre 500 pagine ritenuto la bibbia dei misteri di Di Pietro e infatti tutti quelli che vogliono occuparsi dell’irresistibile scalata del procuratore molisano vi attingono a piene mani, anche il Corriere della Sera che una settimana fa ha riacceso i riflettori su certi aspetti della sua carriera. Alle domande che gli pongono, il leader dell’Italia dei valori risponde invariabilmente opponendo i proscioglimenti da tutte le accuse ottenuti in vari tribunali d’Italia. E quando, come nel caso della cricca degli appalti, non ha carte da sventolare, si attribuisce un ruolo di fustigatore dei pubblici sistemi, come ha fatto la scorsa settimana, quando i pm hanno voluto ascoltarlo a proposito dei suoi rapporti con Balducci e soci: c’è mancato poco che dicesse d’esser stato lui a scoperchiare il marcio, nonostante sotto la sua gestione dei lavori pubblici nessuno abbia denunciato un fico secco. Certo, questa volta le accuse provengono da un giustizialista a 24 carati come Elio Veltri, uno che di Tonino era amico della prima ora e pure di Travaglio. Con loro Veltri ha combattuto contro il Cavaliere e dunque non è sospetto di partigianeria per l’attuale governo. Ciò nonostante siamo convinti che anche stavolta si cercherà di far calare il silenzio attorno alla vicenda, cercando di archiviarla in fretta, così che Di Pietro possa continuare la sua opera demolitrice della prima e anche della seconda Repubblica. Per parte nostra, pur essendo pessimisti sull’esito dell’indagine, possiamo dirvi che faremo quanto possibile perché la storia non sia sepolta in cantina. È dal tempo di Mani pulite che aspettiamo la fase due, quella delle manette pulite e, nonostante tutto, continuiamo a credere che un giorno arriverà. Perché un giudice, anche uno solo, basta a far crollare il muro che difende l’Ultracasta e il suo principale rappresentante.