L'editoriale

Tatiana Necchi

Ore nove e cinquanta di ieri mattina: squilla il mio cellulare. È un vecchio amico che fa il manager per una multinazionale. Il suo nome lo taccio e poi comprenderete perché. È disperato, non dico che singhiozzi, ma si capisce che è in preda a una forte emozione. Mi parla della famiglia, della moglie e delle figlie, tanto che penso sia capitata qualche disgrazia e temo che qualcuno non stia bene. «Mi devi aiutare» mi dice. «Devi consigliarmi perché non so cosa fare». Cerco di fargli esporre i fatti con calma, così da capire qual è il problema. Mi racconta che ieri sul sito internet di Repubblica è stata pubblicata una foto, con il titolo “Ecco il signor Franco”. Nell’immagine si vedono un Bruno Vespa e un Gianni Letta sorridenti e fra loro, distanziato e sullo sfondo, un terzo uomo. «Il terzo uomo sono io» mi dice l’amico disperato «Quello nella foto sono io, ma io non sono il signor Franco».  E chi diavolo è questo signor Franco? chiedo, visto che ancora continuo a non capire nulla di quanto successo. «È lo 007, quello che trattava con i mafiosi e forse, secondo quel che scrivono i giornali, li ha pure aiutati e c’entra con le stragi». E tu cosa c’entri con la storia dell’agente segreto, con l’Addaura, Capaci e tutti gli altri intrighi di  Cosa nostra?, domando, cominciando a intuire il terribile equivoco di cui è vittima. «Nulla, non c’entro nulla, mai stato invischiato in simili storie. Ho sempre e solo fatto il manager per la mia azienda. Ma quello nella foto sono inequivocabilmente io. Mi hanno preso per un altro». L’hai detto a quelli di Repubblica? Hai telefonato a Mauro per spiegargli che non hai niente da spartire con i picciotti e le stragi? «Sì, ho chiamato e dopo dieci minuti la foto è sparita dal sito, peccato che altri indirizzi web l’avessero già presa e riprodotta, addirittura ingrandendo l’immagine, così che il mio volto è ancora più riconoscibile. Stamattina un tizio fotografava la mia casa e la mia cassetta delle lettere e mi hanno pure telefonato dall’estero, compresi i miei capi, che mi chiedono cosa c’entro con questa storia. Non so che fare. Se serve domani mattina vado a Caltanissetta dai magistrati a spiegare che non sono un mafioso e neppure uno 007. Ma dai giornali, da Internet, come faccio a difendermi? Dovrò prendermi un avvocato, ma non so a chi rivolgermi e la famiglia? A mia moglie e a mia figlia che dico, come le calmo?». L’ho lasciato inquieto, mentre si apprestava a predisporre una relazione destinata ai vertici aziendali, per spiegare come un manager integerrimo, tutto casa e azienda, sia finito in mezzo a una vicenda di spie e Cosa nostra. Non so se l’operazione gli sia riuscita. So però come è nata questa storia che rischia di travolgere un signore per bene. Massimo Ciancimino, il figlio del sindaco mafioso di Palermo, da tempo si sta confessando con i pm di Palermo e Caltanissetta. Delle sue confessioni, come ho scritto conoscendolo assai bene, mi fido poco. Mi pare che stia portando a spasso i magistrati o involontariamente i magistrati portino a spasso lui. Cioè mi sembra che Ciancimino stia raccontando ciò che le procure vogliono sentirsi dire. Ma non è questo il punto. Il punto è che il figlio dell’ex sindaco ha parlato di un agente dei servizi segreti presente sia nella trattativa con suo padre sia nel luogo delle stragi. Da giorni dunque è scattata la caccia all’uomo: chi è il funzionario che faceva il doppio gioco e ha coperto i misteri e gli omicidi degli anni Novanta? Alla ricerca di un nome e di un volto, inspiegabilmente, sono state controllate anche delle fotografie pubblicate su un mensile romano di gossip e dolce vita e tra queste istantanee una è stata messa sotto gli occhi di Ciancimino, affinché identificasse i presenti.  Il testimone avrebbe detto che effettivamente c’era una vaga somiglianza tra una delle persone ritratte e lo 007, ma non era in grado di identificarla. Nella foto, oltre a Letta, Vespa e altri due signori, c’era anche il mio amico, che era a Roma per la presentazione di un prodotto della sua azienda. Secondo una fonte riferita dal Fatto quotidiano, il figlio del sindaco non avrebbe neppure accennato a lui, ma a un’altra delle persone presenti nel fotogramma, questo però non è bastato a salvarlo dal gigantesco equivoco. Il suo volto è finito in rete, una rete capace di avvolgere e stritolare chiunque, ma in particolar modo gli innocenti. Dopo quel che vi ho raccontato, c’è ancora qualcuno  che ha dubbi sulla necessità di trovare una forma di regolamentazione nella pubblicazione di atti d’indagine? Io non ne ho.