L'EDITORIALE
Oggi si apre la direzione nazionale del Partito Democratico. Abitualmente archivierei il fatto nella sezione “chissenefrega”, ma stavolta mi tocca occuparmene perché si tratta di un nuovo capitolo della faida tra le famiglie di ciò che resta del comunismo italiano. Veltroniani contro Dalemiani, e tra i due fuochi le mezze figure come Bersani e Franceschini, più altri esponenti di terzo piano come Ignazio Marino. È prevedibile che la discussione si risolva in un reciproco scambio di accuse, che è poi ciò che avviene da almeno 15 anni, cioè da quando i due dioscuri del PD fecero fuori Achille Ochetto dopo averlo aiutato a far fuori, a sua volta, Alessandro Natta. Quel che combinarono i giovani turchi del Pci allo scopo di eliminare la vecchia guardia comunista è oggi dimenticato, ma in realtà tutto quanto è venuto dopo, compresa la dissoluzione della sinistra, comincia lì, nel brutale licenziamento dell’allora segretario del partitone rosso. Natta era alla guida delle Botteghe oscure dalla morte di Enrico Berlinguer, quando ebbe un infarto. Mentre ancora era in ospedale la generazione dei quarantenni pretese che si facesse da parte, con la scusa che il Pci non poteva sopportare il dolore di un nuovo funerale del lìder maximo. Risultato, Ochetto conquistò il potere, mentre Baffino e Uòlter salirono di un gradino, sistemandosi appena sotto il capo. Per buttar giù il vecchio segretario, i giovani avevano stretto un patto d’acciaio ma, una volta vinto, l’accordo si sfaldò e cominciarono a litigare. E appena si presentò l’occasione, D’Alema e Veltroni pugnalarono Ochetto.