L'editoriale
L’Europa ha vissuto nelle ultime due settimane uno dei periodi più drammatici che ci sia capitato di vedere negli ultimi cinquant’anni. In poche giornate si è giocata il futuro, perché il rischio che qualche Paese fallisse era forte e sarebbe bastata una sola nazione in bancarotta per trascinare nel baratro le altre. Naturalmente, lo scampato pericolo non allontana dall’orizzonte ogni nube e perciò ieri, dopo le misure draconiane prese dalla Grecia, anche la Spagna ha deciso di dare un taglio netto agli stipendi degli statali, riducendoli del 5%, sforbiciando pure le pensioni e i bonus per i neonati. Zapatero ha spiegato che visto il clima non si poteva fare diversamente. Insomma: se non è un’economia di guerra, poco ci manca. E l’Italia, che fa il nostro Paese mentre nel resto d’Europa succede tutto ciò? Quanto alta sia l’attenzione sui temi economici lo ha già dimostrato la seduta della scorsa settimana alla Camera, presente Tremonti: una cinquantina di deputati in tutto ad ascoltare il ministro dell’Economia sullo stato dell’arte, gli altri non si sa dove fossero, probabilmente occupati dalle necessità di collegio (elettorale, ovviamente), che nessuno per la verità ha più ma che tutti fingono di coltivare. Se però qualcuno conservasse ancora dubbi sull’impegno profuso sul fronte finanziario dalla nostra rappresentanza politica, ieri è accaduto un piccolo episodio che contribuisce a chiarire come stanno le cose. A tutti è noto che Fini e Berlusconi sono ai ferri corti e l’ultima volta che si sono visti poco c’è mancato che si accapigliassero, tanto che il presidente della Camera si è levato dalla platea con il ditino alzato. Ora, vista la situazione che aleggia sui mercati mondiali, nei giorni scorsi c’è chi a provato a fargli fare, se non la pace, almeno una tregua. Le colombe avevano organizzato un incontro cui avrebbero dovuto partecipare, oltre a Gianfranco Fini, anche Denis Verdini e Gianni Letta, e durante il quale si sperava sarebbe stata trovata la quadra, come dice Bossi, per restare uniti in un periodo di crisi. Tutto era pronto per l’appuntamento, quand’ecco che la terza carica dello Stato ha disdetto tutto, irritato da una voce che avrebbe attribuito a lui la prima mossa, ovvero la richiesta di una riunione dopo che fondatore e cofondatore si erano allegramente mandati a stendere. Non sappiamo ovviamente se siano stati gli uomini di Berlusconi a mettere in giro la chiacchiera e nemmeno siamo a conoscenza di chi sia stato a fare il primo passo per organizzare l’evento, ma francamente ci interessa poco. Che dei leader politici facciano le bizze come fidanzate imbronciate che vogliono essere riconquistate, in un altro periodo ci avrebbe fatto sorridere del livello cui è precipitata la qualità della politica. Oggi, al contrario, ci fa solo piangere, perché ci fa capire con chi abbiamo a che fare. Nel momento in cui l’euro cola a picco ed è richiesta una risposta forte, si preferisce continuare in una lite da ballatoio che alla maggior parte degli italiani interessa zero. Il presidente della Camera ovviamente ha spiegato che lui ha posto problemi politici e di quelli vuole discutere. Ma è noto anche ai sampietrini di piazza Montecitorio che la questione è personale e riguarda le ambizioni – legittime, intendiamoci – dell’ex presidente di An, il quale avvicinandosi la soglia dei sessant’anni si pone il problema di cosa fare da grande. Fini dice di voler una destra moderna, europea, ma così facendo non si rende conto di seguire una politica vecchia, anzi vecchissima, in cui più della sostanza ci si pone il problema dei riti e delle correnti. Per quel che mi riguarda ho già detto come la penso, ovvero che il conflitto tra Berlusconi e il suo socio sia ormai insanabile, perché nutrito nel corso degli anni da arsenico e vecchi dispetti. Ma se il cofondatore del PdL vuole davvero dare prova di senso dello Stato ora ne ha l’occasione: basta che metta da parte il rancore e pure le legittime aspettative e si sieda ad un tavolo per confezionare un pacchetto di riforme economiche e politiche che sia degno di questo nome. È vero: tocca al governo il compito di fissare l’incontro, ma spetta a Fini la decisione di non fare la principessa sul pisello. Anche perché la nostra è una repubblica e quel che resta di principi e principesse al massimo lo manda a ballare sotto le stelle.