L'editoriale

Monica Rizzello

Come i lettori sanno, non abbiamo mai fatto sconti a Giorgio Napolitano e in qualche caso i nostri giudizi sul suo operato sono stati sferzanti, al punto di beccarci una denuncia per vilipendio. Ciò premesso, dobbiamo riconoscere che il Napolitano di questi giorni ci sorprende e ce lo fa guardare con occhi diversi dal passato. Pur con la prudenza e il linguaggio felpato da gran commis quirinalizio, l’inquilino del Colle questa settimana ha fatto partire un paio di colpi che hanno fatto vacillare la sinistra forcaiola e le toghe più rosse.  L’uno due è cominciato col discorso sulla Liberazione. Per l’occasione il capo dello Stato ha preso in prestito le parole di Berlusconi, mollando uno sganassone a tutti quelli che volevano utilizzare il 25 aprile come grimaldello per scardinare il risultato elettorale e prendersi una rivincita sul governo. Ma più ancora della commemorazione della vittoria su nazismo e fascismo ci ha colpito il discorso di ieri, con cui il presidente ha bacchettato i magistrati. L’argomento è di solito giudicato tabù, soprattutto per chi provenga dalle fila della sinistra, fazione che ha sempre goduto di un trattamento di favore da parte delle toghe.  Per questo stupisce che sia stato il primo capo dello Stato post comunista a dire che i giudici devono fare autocritica e riconoscere che qualcosa non va anche tra le proprie file. Fino ad oggi sono stati coccolati dai vari governi rossi e questo li ha resi intoccabili, impedendo qualsiasi riforma degna del nome. I tribunali sono un tempio di inefficienza e ad essa non contribuiscono solo le cattive leggi varate dal Parlamento negli ultimi sessant’anni, ma anche le pessime abitudini di signori che si nascondono dietro la toga pur di lavorare il meno possibile. Le sentenze del Consiglio superiore della magistratura da questo punto di vista sono illuminanti: ci sono giudici e pm che battono la fiacca da tempo, accumulando ritardi su ritardi, ma i provvedimenti presi contro di loro spesso si limitano alla riduzione di uno o due anni di anzianità oppure al trasferimento ad altra sede. Come dire che un fannullone basta trasferirlo per trasformarlo in uno stakanov. Di fronte alle sollecitazioni dei ministri che volevano punire scaldasedie e magistrati più attenti alle proprie idee politiche che al codice, l’associazione di categoria ha sempre reagito come un sol uomo, rifiutando il dialogo e considerando un attacco qualsiasi ragionamento di buon senso, compreso quello che vorrebbe ridistribuire il personale in toga dove se ne richiede la presenza, rendendo di fatto inamovibile qualsiasi giudice. Il discorso di Napolitano, invitando all’autocritica, rompe il tabù e potrebbe spingere la parte più responsabile della magistratura a mettere da parte le crociate per ragionare su come migliorare le cose anche nelle aule di giustizia. Lo so che è un’opera quasi impossibile, ma se il Quirinale tiene duro e appoggia le riforme, impedendo i sabotaggi dei soli noti, forse qualcosa potrebbe muoversi e non solo tra i giudici. Peccheremo di eccesso di fiducia o forse d’ingenuità, ma visto come Fini ha tirato la coda tra le gambe e che perfino Di Pietro ora s’atteggia a statista, almeno una volta in un miracolo ci vogliamo sperare.