L'editoriale
Quando mesi fa spiegammo che il Pd non aveva un leader ma solo un gregario, fummo considerati a sinistra come i soliti provocatori. Bersani era stato eletto da poco, terzo segretario in un anno, e stava ancora prendendo le misure dell’ufficio e del lavoro che gli sarebbe toccato fare, per cui il giudizio sembrò ingeneroso. Ma qualsiasi esperto di cose politiche avrebbe dovuto capire fin dal principio che un capo il quale si fa imporre i candidati non è un capo: al massimo un perdente di successo. Dopo la sconfitta alle Regionali però, quello che per noi era lampante ha illuminato anche gli altri e dunque tocca a un altro prendere l’eredità dell’attuale numero uno del Botteghino. A dare il via libera alla rottamazione di Bersani è stato l’organo che detta la linea al Partito democratico, per la penna del suo direttore. Ezio Mauro dalle pagine di Repubblica il giorno dopo la batosta nel Lazio e in Piemonte ha infatti sentenziato che alla sinistra serve un leader nuovo. Ma non uno qualsiasi, bensì un tipo che sia estraneo alla nomenklatura del Pd. Una specie di Papa straniero, il quale non faccia parte del gruppo dirigente diviso e invecchiato precocemente, come spiega il capo del quotidiano di Largo Fochetti. Subito è partita la caccia al nome e l’Espresso, ovvero l’incrociatore di Repubblica, si è incaricato di commissionare alla Swg un sondaggio, chiedendo agli elettori progressisti qual è il leader migliore per poter battere Berlusconi. Il povero Bersani ovviamente ne è uscito a fette, scavalcato da Luca Cordero di Montezemolo e tallonato da Nichi Vendola e Mario Draghi. Al di là dello scarso entusiasmo nei confronti dell’attuale segretario, a colpire è la confusione (o forse disperazione) che regna fra il cosiddetto popolo della sinistra. Passare dal Partito comunista a quello della Confindustria dev’essere dura da digerire anche per il militante più convinto, e non solo perché il rosso di Botteghe oscure era più cupo del rosso Ferrari, ma perché fra il partito della classe operaia e il partito della prima classe la distanza da colmare è molta: partire per fare la rivoluzione e finire in Banca d’Italia è certamente scioccante. Che gli elettori brancolino nel buio al pari dei dirigenti è testimoniato poi dal successo riscosso, oltre che da Montezemolo e Draghi, anche dal governatore della Puglia. Che c’entra lui con il governatore di via Nazionale? È vero che entrambi sono indicati con lo stesso titolo, ma il primo propone di dare il salario sociale a tutti, di ridurre la flessibilità nel mondo del lavoro e di cancellare il patto di stabilità; il secondo invece sostiene l’opposto. È un po’ come se chi vota progressista volesse la mortadella ma anche il caviale. L’intervista all’Espresso di Ezio Mauro non aiuta a orientarsi. Dopo aver lanciato l’idea di un Papa straniero, per il quale non è indispensabile un pedigree comunista, il direttore di Repubblica spiega che il sogno è un Pd diverso da quello di oggi. E qui si capisce che la nebbia non riguarda solo chi debba guidare la sinistra, ma lo stesso Partito democratico, il quale, nato da una fusione fredda fra Ds e Margherita, ha fatto la fine dell’esperimento di Pons e Fleischmann, due scienziati americani che sognavano di creare una fonte energetica alternativa. L’idea era affascinante, ma la sua realizzazione fu un fallimento. E ai due studiosi toccò il destino dell’oblìo. Proprio ciò che rischia di succedere al Pd.