L'editoriale
Molti lettori chiedono cosa accadrà tra PdL e Lega ora che quest’ultima ha conquistato due regioni e nel Veneto ha sopravanzato l’alleato fino a divenire il primo partito. Litigheranno? Oppure il legame fra Bossi e Berlusconi è composto da uno speciale materiale che lo rende inossidabile ai tranelli politici? Ovviamente non ho la palla di vetro, ma se dovessi scommettere dei soldi direi che i due dioscuri del centrodestra andranno d’accordo: non perché si amino alla follia, più semplicemente perché conviene a entrambi. Silvio ha mille motivi per non scontentare Umberto, dato che sotto la scorza dura si è rivelato più malleabile di altri partner con cui si è accompagnato negli anni scorsi, ad esempio Casini e Fini. E allo stesso tempo il Senatur se rompesse con il Cavaliere avrebbe tutto da perdere. Chi potrebbe garantirgli l’approvazione dei provvedimenti federalisti? Il Pd? E chi si fiderebbe di un partito che sta per essere rottamato e di un segretario che non è in grado di assicurare neppure il posto a se stesso? A sinistra non c’è nulla e nessuno che possa attirare Bossi fino al punto di spingerlo a tradire Berlusconi. E’ vero, Il leader padano ogni tanto strizza l’occhio a sinistra, ma lo fa perché spera di ingraziarsi qualche progressista, non certo per voglia di finire sull’altra sponda. Basta e avanza questo per capire che Lega e PdL sono obbligati a stare insieme. E poi intendiamoci, uniti hanno tutto da guadagnare. Il Carroccio negli anni è riuscito a incassare posti di sempre maggior rilievo, non solo il ministero dell’Interno, strategico per promuovere politiche sulla sicurezza e l’immigrazione, ma anche l’Agricoltura, che a Bossi e ai produttori di latte sta particolarmente a cuore. Ora con due governatori i seguaci di Alberto da Giussano avranno anche la possibilità di mettere mano all’ordinamento federalista che propugnano da sempre. Dunque non c’è motivo di rompere. Stesso ragionamento vale per il Cavaliere. Chi voterebbe i provvedimenti sulla giustizia e le norme sull’informazione? Certamente non i discepoli di Fini. E allora non restano che i leghisti. C’è poi un’ulteriore considerazione che propende per una futura buona condotta dei due alleati. Per come si sono messe le cose, il Carroccio sta conquistando sempre maggior credibilità. Non soltanto tra gli elettori, ma pure negli ambienti in cui fino a ieri arricciavano il naso solo a sentir parlare del Senatur e dei parlamentari in camicia verde. Li credevano rozzi, ignoranti e razzisti. Ora non più. Della Lega in stile anni Novanta, quella delle sparate e delle provocazioni resta poco: ha lasciato posto a una classe dirigente sgobbona e concreta, con la quale i poteri forti e anche quelli non fortissimi sono costretti a fare i conti. Se ne sono accorti in Fiat, la quale, a differenza di ciò che accadeva in passato, si è ben guardata dal mettere becco nella corsa per la Regione, e anche se non si è spinta ad appoggiare Cota, diciamo che ha guardato il candidato leghista con interesse. Perché Bossi dovrebbe giocarsi l’immagine di serietà appena conquistata mettendosi a bisticciare con il presidente del Consiglio, o peggio preparando una trappola? L’obiettivo padano è più alto e riguarda il momento in cui il Cavaliere sceglierà di fare altro, magari di scalare il Colle del Quirinale, a coronamento di una carriera politica contornata di successi. Allora sì che Umberto e i suoi potrebbero passare all’incasso. Tutti discutono di chi debba essere il successore di Berlusconi, ma nessuno ha pensato che potrebbe essere proprio un leghista. Anzi no, qualcuno ci pensa e si chiede: ma Maroni potrà un giorno diventare presidente del Consiglio? Oppure Bossi punterà su Tremonti? Ah, saperlo…