L'Editoriale

Maria Acqua Simi

Oggi Silvio Berlusconi cercherà di salvare il salvabile di una campagna elettorale nata male e a rischio di finire peggio. In piazza San Giovanni, a Roma, ha dato appuntamento a tutti i moderati, con l’intenzione di rialzarne il morale e stuzzicarne l’orgoglio. Essendo abile come nessun altro a percepire i sentimenti dell’opinione pubblica, ha capito che questa volta gira male e a una settimana dal voto lo stato d’animo dei militanti non è lo stesso del passato. Sicuramente non quello del 2008, quando meno di 24 mesi in compagnia di Prodi fecero rimpiangere i cinque anni precedenti del Cavaliere a Palazzo Chigi. Oggi nessuno ha nostalgia del professor Mortadella e neppure si può dire che il governo non abbia fatto anche qualcosa di buono, ma un’aria stanca e sfiduciata aleggia sul PdL. Prima la crisi economica, poi le indagini giudiziarie, infine le liti interne: ce n’è abbastanza per far passare la voglia di votare anche al fan più sfegatato. Come non bastasse, il Popolo della Libertà per perdere si è pure impegnato, mettendoci di suo una buona dose di inettitudine che ha portato all’esclusione della lista nel Lazio. Naturale dunque che più di un elettore sia nauseato e invece dei seggi preferisca una gita fuoriporta.  Nel tentativo di scongiurare il pericolo e motivare i suoi, Berlusconi ha puntato tutto sulla grande manifestazione. Scelta difficile per una serie di motivi, non ultimo dei quali il fatto che i moderati preferiscono le pantofole alle piazzate. In queste è specializzata la sinistra, che nell’uso della folla ha oltre mezzo secolo di esperienza alle spalle. Le volte che il centrodestra  ha sfilato si contano invece sulle dita di una mano e, lasciando perdere la marcia dei quarantamila alla Fiat o il corteo della maggioranza silenziosa, ci si ferma a due: nel 1996 e nel 2006. In entrambi i casi al governo c’era Prodi e la rabbia era tale da mobilitare centinaia di migliaia di persone. Ora è diverso: a Palazzo Chigi non c’è Romano, ma il Cavaliere e il nemico è sì annidato a sinistra e nelle procure, ma anche un po’ nello stesso PdL. Una sfida dura, quindi, quella di Berlusconi, eppure inevitabile. Il presidente del Consiglio sa bene che la posta in gioco è alta: queste elezioni  non sono un affare locale, che riguardi esclusivamente le regioni in cui si vota. La consultazione ha un valore superiore, perché arriva dopo due anni di governo ed è l’ultima prima della scadenza della legislatura. Ovvio che venga vista come un giudizio sull’operato dell’esecutivo e dello stesso premier. Anzi: come una sentenza, per giunta senza appello, perché contro di essa nei prossimi mesi non ci sarà modo di far ricorso. Se il responso fosse negativo, ovvero se le regioni conquistate fossero poche più di quante precedentemente detenute, si aprirebbe una fase di rissosità dentro la maggioranza da far sembrare quelle cui abbiamo assistito nei mesi scorsi delle affettuosità. La sconfitta darebbe il via a un regolamento di conti che non porterebbe nulla di buono al centrodestra, ma agevolerebbe solo il ritorno della sinistra alla guida del Paese. Certo, ci sono buone ragioni per resistere alla chiamata a raccolta odierna, disertando oltre all’appuntamento di piazza San Giovanni pure le urne. In questi mesi molte cose non sono andate per il verso giusto e la delusione è forte. Ma se non si vuole dare il proprio consenso alla sinistra, se non si intende contribuire al successo di Di Pietro e compagni astenendosi, questo centrodestra resta l’unica possibilità. Comunque la si pensi, il Cavaliere rimane il pilastro dello schieramento che si oppone al proliferare di Ulivi vari. Danneggiare o abbattere lui servirebbe solo a rendere instabile l’edificio dei moderati. Pazienza perciò: anche se in quella casa c’è molto che non va, bisogna farsene una ragione e pensare a ripararla, perché un alloggio alternativo non esiste.  Chi non ama le adunate di piazza naturalmente può rinunciare a sfilare oggi a piazza San Giovanni. L’importante è che non rinunci domenica e lunedì prossimi a passare dal seggio.